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Indice principale : Librogame Stranieri : Fighting Fantasy : 

Categoria: Librogame Stranieri Fighting Fantasy
Titolo: 31 - Battleblade Warrior  Piu' letteValutazione: 5.00  Letture:1166
Descrizione   Marc Gascoigne
Descrizione   Da sei anni Vymorna resiste all'assedio, ma presto cadrà nelle mani dei malvagi Uomini Lucertola. Giorno dopo giorno combatti al fianco della tua affaticata madre, la Regina Perriel, ma ormai soltanto l'aiuto divino potrà salvarvi.
Poi il grande Lord Telak ti appare in sogno. Sei stato prescelto per cercare l'arma che aiuterà te e la tua città contro le forze oscure. La tua missione sarà irta di pericoli, ma devi riuscire: sei la sola speranza di Vymorna!
Valutazione media: (1) (10)
Data pubblicazione 7/12/2007
Inviata da: EGO il 3/5/2009
Valutazione generale: Valutazioni di categoria: 5 5
Descrizione
     Da molti anni, ormai, la città di Vymorna è cinta d’assedio dall’esercito degli Uomini Lucertola, inviati dal loro terribile Re. Le perdite sono state ingenti e le forze del nemico sono ancora numerose. Il re, nostro padre, è morto in battaglia e la regina ne ha preso il posto, pagando i suoi sforzi con un precoce invecchiamento. Non sembra esserci speranza, ma una notte, in una visione sospesa tra sogno e realtà, ci appare Telak il Gladioforo, dio del coraggio, per affidarci una missione di salvezza: viaggiare verso i Picchi del Leone alla ricerca di un’arma che distruggerà gli Uomini Lucertola.

È Marc Gascoigne, storico editor delle pubblicazioni di Games Workshop, a scrivere questa storia, e a suo merito va detto che si tratta forse dell’introduzione meglio scritta di tutta la storia di Fighting Fantasy. Il bello scrivere tra l’altro non si limita all’antefatto, ma caratterizza quasi tutta l’avventura, tra punti esclamativi, pause di sospensione, suspense, scene raccapriccianti di vario tipo ed altre invece molto umoristiche (il funerale degli Orchi è particolarmente memorabile).

Questo è però, bene o male, il solo vero pregio dell’unico librogame di Gascoigne. Di fronte ad un lavoro compositivo tanto accurato, un titolo così generico come Battleblade Warrior deve insospettire: si tratta di uno dei titoli meno rivelatori mai visti, quasi che non si sapesse bene di che cosa parla il libro. E l’amara sorpresa è che, per buona parte dell’avventura, le cose stanno esattamente così. Fino a che non si raggiunge l’antica città finale, in Battleblade Warrior non c’è assolutamente alcun altro scopo se non andare avanti. Qualsiasi strada si scelga, si potrà arrivare a destinazione senza alcun ostacolo: non c’è un momento distintivo nella storia, qualche evento strettamente necessario, qualcosa che si faccia ricordare in modo particolare.

Perché questo rappresenti un problema, lo si realizza molto più avanti. Si deve infatti scoprire che l’ultima parte dell’avventura consiste nell’esplorare una città perduta alla ricerca del Braccio e dell’Occhio di Telak, oggetti la cui effettiva natura ci è sconosciuta e che dovremo ritrovare in un dungeon affatto generico, privo di una topografia coerente, nel quale tutte le scelte si riducono a decidere da che parte svoltare. È piuttosto facile arrivare alla fine del libro, magari già alla prima partita, e scoprire che si viene uccisi per non aver trovato qualcosa. E qui scatta la trappola: Battleblade Warrior è molto vasto, e in più occasioni durante il viaggio il testo accenna ad oggetti o informazioni che, molto probabilmente, non avremo trovato. Se arriviamo alla fine e moriamo per la mancanza di un oggetto, il ragionamento del librogamer si mette a rimuginare su tutto ciò di cui abbiamo sentito parlare nel corso del viaggio e conclude che sicuramente ci siamo persi qualcosa. Seguono innumerevoli partite volte a sviscerare tutti i bivi possibili, alla ricerca di tutto il recuperabile, che però, volta per volta, si rivela ben diverso da ciò che si pensava, e in ultima analisi, totalmente inutile. Giunge dunque l’amara scoperta: tutto Battleblade Warrior si riduce al dungeon finale. È solo qui, in un centinaio o forse meno di paragrafi, che si nascondono i due oggetti che dobbiamo recuperare, e anzi in seguito si apprende addirittura che ne bastava uno.

Questa impostazione mi indispettisce per vari motivi. Si può discutere sul fatto che costituisca o meno uno spreco dei 300+ paragrafi che precedono la città perduta; qualcuno potrebbe trovare apprezzabile la libertà d’esplorazione, la possibilità di godersi le capacità narrative di Gascoigne senza costrizioni di sorta. Tuttavia l’autore ha deliberatamente giocato con i presupposti del lettore, spargendo indizi che ti fanno pensare all’esistenza di un true path (ci sono perfino i due asterischi suggeritori come nella Corona dei Re), e confermando i sospetti con un dungeon finale incoerente, in cui gli oggetti della ricerca si trovano per puro caso. Qualcuno avrà fortuna e potrà vincere al primo tentativo, ma quando quattro-cinque esplorazioni del dungeon, con tanto di mappatura, non hanno dato risultati, è difficile pensare che il succo del gioco sia tutto in quei trenta paragrafi finali. Dunque uno impazzisce per esplorare tutto, e poi scopre di essere stato fregato. Che la fregatura sia voluta è evidente in alcune situazioni in cui Gascoigne esprime il pensiero del protagonista facendolo sembrare un messaggio diretto dell’autore: c’è un punto in cui si trovano due gemme e il testo dice: “Gli Occhi di Telak? Ma naturalmente!”, e tu ti convinci di averli trovati… e invece non sono loro. Non è l’unico caso, ma dimostra che Gascoigne aveva la precisa intenzione di mandare il lettore fuori strada, attirandolo con gli stratagemmi tipici di altri autori. Clamoroso, poi, il fatto che dei due oggetti necessari ne basti uno: perché? Ma perché di quell’uno il dungeon ne contiene più copie, mentre il secondo è infrattato in un punto improbabile. Allora perché mi fai credere che ne servano due, se poi ne basta uno e ho più possibilità di trovarlo?

I problemi dell’aspetto ludico non sono tutti qui. Gascoigne purtroppo è anche uno di quegli autori per cui il “Fighting” in Fighting Fantasy va rispettato come una legge, e dunque l’avventura è ricca di opportunità di combattimento decisamente fastidiose. Capita spesso che ci venga offerto di attaccare un nemico quando in realtà potremmo evitarlo senza nemmeno dover tirare i dadi; altrettanto spesso ci si trova ad affrontare gruppi di nemici, piuttosto numerosi e che vanno combattuti due o anche tre contro uno. Uno di questi scontri è obbligatorio, e i punteggi in gioco sono ridicoli se si considera che dev’essere preceduto da un altro nemico di Abilità 10 e Resistenza 11, e senza potersi ristorare tra l’uno e l’altro, perché in questo libro si può mangiare le Provviste solo quando viene detto dal testo. Sapendo che il terzo avversario obbligato del libro ha Abilità 10 e Resistenza 16, mi pare ovvio che qui qualcuno ha gonfiato la difficoltà in modo piuttosto artificioso. Come del resto ha fatto nei libri di altri, in qualità di editor (vedi il famoso nemico di Abilità 12 in The Crimson Tide, risultato di una correzioncina di Gascoigne). E non sto nemmeno a citare nel dettaglio alcuni errori ed incongruenze che si trovano qua e là, tanto saranno evidenti a chiunque leggerà il libro.

Bottom line: Battleblade Warrior si può vedere come un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma comunque mezzo. Per me è mezzo vuoto, perché anche se mi piace davvero molto il testo, non intendo perdonare né gli errori di bilanciamento, né i ripetuti inganni, né il fatto che 9/10 del testo siano di fatto un riempitivo. Trovo troppo atipico un libro che vuole essere Scegli la tua avventura per tre quarti del tempo ma fingendo di essere Steve Jackson, e poi scimmiotta Steve Jackson nell’ultimo quarto, senza però avvicinarsi alla sua coerenza, solidità e genialità. Non arriverò a dire che Battleblade Warrior è inutile nel contesto di Fighting Fantasy, ma poco ci manca. La mia delusione verso questo libro è fortissima, e immagino che debba esserlo stata anche quella di Alan Langford quando ha scoperto che i suoi disegni sono stati accreditati a David Gallagher.

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