Re: Recensioni dei libri |
Oggetto: Re: Recensioni dei libri inviato da Gurgaz il 5/1/2008 9:31:53 IL DIO DELLE PICCOLE COSE --- di Arundhati Roy Questo libro me lo hanno regalato degli amici per il 23° compleanno; confesso che non avrei avuto l’iniziativa per cercarlo da me. Sarebbe stato un peccato, perché avrei perso un testo validissimo, istruttivo e stilisticamente entusiasmante. Prima o poi dovrò decidermi a drizzare le orecchie e porre maggior attenzione alle uscite del momento, non tanto ai best-seller super pubblicizzati come il Codice da Vinci o il Circolo Dante, ma ai veri capolavori letterari, che gli scrittori contemporanei sono ancora in grado di offrire. Il dio delle piccole cose è datato 1997 ed è frutto della “necessità naturale di raccontare” dell’indiana Arundhati Roy, laureata in architettura, sceneggiatrice e scrittrice. È un libro difficilmente classificabile: alla base ha forti istanze di denuncia sociale, il biasimo e l’amarezza per una grande nazione che continua ad essere spaccata tra modernità e tradizionalismo; d’altra parte, si serve di un linguaggio fatto di immagini, luci e colori, che catapulta il lettore nella prospettiva dei protagonisti, i due bambini Estha e Rahel. La storia è un’ordinaria tragedia familiare nell’India di fine Anni Sessanta: Ammu, figlia di un alto funzionario, lascia il marito Baba, alcolizzato e violento, per tornarsene a casa con i suoi due figli. Ma, secondo la tradizione indiana, una donna divorziata è priva di qualsiasi posizione riconosciuta. Se poi costei commette l’inaccettabile errore di innamorarsi di un intoccabile, per lei non vi sarà più comprensione, né perdono. Questi eventi principali offrono l’occasione per narrare una serie di episodi minori, di cose ordinarie, di tracciare piccoli quadretti di un paese dilaniato da un progresso prorompente e dalla persistenza di leggi non scritte, che continuano a segnare l’esistenza delle donne e dei paria. In tutta l’opera non vi è un continuum narrativo: gli eventi sono cronologicamente mescolati, accennati in anticipo ed esplicati in ritardo, rinviando la piena comprensione dei fatti al termine del libro. È una successione di ricordi, di memorie d’infanzia, legate più a colori, luci ed odori piuttosto che a concetti razionali. È la perfetta ricostruzione del ritorno di Rahel a casa, dopo tanti anni; ogni oggetto le fa rammentare un fatto, l’aiuta a ricostruire un periodo buio della sua esistenza, anche se allora non lo percepiva come tale. L’efficacia descrittiva ed artistica di certe immagini sorprende per potenza e vitalità. Dopo un inizio un po’ faticoso, perché il lettore non capisce ancora come è strutturato il testo, le pagine iniziano a scorrere rapide, nell’esigenza di trovare la spiegazione a certe allusioni, di apprendere ancora qualche dettaglio sulla società indiana e le sue contraddizioni, o semplicemente di ammirare l’ennesimo affresco multicolore, dipinto a parole da una scrittrice di grande sensibilità ed energia espressiva. Secondo me, un libro che mette d’accordo tutti: bellissimo ed abbastanza originale nello stile, ricco di informazioni di carattere sociologico ed in diversi momenti perfino appassionante dal punto di vista narrativo, anche se nella vicenda raccontata aleggia una persistente cappa di tristezza. Vivamente consigliato a chi vuole saperne di più sulla grande India e preferisce un romanzo al saggio storico-sociologico o all’articolo di giornale. |