Re: Recensioni dei libri |
Oggetto: Re: Recensioni dei libri inviato da Gurgaz il 6/3/2009 23:24:31 NAUSEA (LA) --- di Jean Paul Sartre Questo è un libro che si presta a chi ha una vita complicata e se la vuole complicare ancora di più. Non trovo altre parole per riassumere le sensazioni suscitate dalla lettura de La Nausea, l’opera più nota del filosofo esistenzialista Jean Paul Sartre. Perché l’ho letta? Perché il giorno in cui l’ho presa in biblioteca provavo esattamente le sensazioni che ho ritrovato descritte al suo interno. In primo luogo bisogna dire che non è un “romanzo” in senso stretto; non c’è una storia, non ci sono avvenimenti collegati, non ci sono personaggi accuratamente sviluppati. È una serie di episodi quotidiani visti da Antoine Roquentin, intellettuale sradicato che conduce una vita monotona e priva di significati nella città immaginaria di Bouville, Francia. Lavora stancamente alla biografia di un personaggio storico minore e subisce l’atmosfera piccolo-borghese della città, alla quale è estraneo ed indifferente. In questo contesto affiora la consapevolezza che il mondo esiste ed è gratuito, non ha senso, tutti vivono e muoiono senza una ragione, eccetto quelle, illusorie, che gli uomini si inventano da soli. Affiora così la Nausea, il disgusto di tutto in quanto contingente, non necessario, di troppo. Mentre Antoine sperimenta queste sensazioni, le uniche figure attive del romanzo, l’Autodidatta e l’ex-fidanzata Anny, gli propongono le loro ricette di vita: il primo parla di amore per l’umanità, di giustizia sociale, di grandi ideali; la seconda vive cercando di creare dei “momenti perfetti”, ovvero delle piccole situazioni quotidiane in cui tutto funziona come si desidera e si ritiene bello ed opportuno. Che Anny abbia trovato la strada per vincere la Nausea, nel tentativo di rendere importante il momento più banale della vita? Sarà anche questo l’esito finale e consolatorio della speculazione di Sartre, ma fino all’ultima pagina ho avuto l'impressione di leggere un messaggio disperato. La lettura è capitata a fagiolo, perché sono settimane in cui mi sento esattamente come Roquentin: disperato, nauseato dalla casualità con cui tutto nasce, passa e viene distrutto; ciononostante ho trovato La Nausea davvero pesante, non da leggere perché è scritto con garbo e grande acutezza intellettuale, quanto nell’assimilazione dei contenuti e delle prospettive, che vanno troppo oltre il mio umano sentire. Questa natura pesante solo perché esiste non fa parte delle cose che mi creano problemi, visto che i guai dell’uomo derivano perlopiù dalla società in cui si vive, non certo dall’esistenza in sé. Il pensiero filosofico esistenzialista è moderno e quanto di più naturale ci possa essere, se ci si ferma un attimo a riflettere. L’unica soluzione per non sentire che tutto esiste è non pensarci, cosa che riesce benissimo alla maggior parte delle persone, che sostituiscono il concetto del diritto a quello della necessità. Il guaio è che non c’è soluzione e le risposte parziali, poco convinte, che si distinguono nelle ultime pagine del libro ne sono la conferma. La Nausea documenta uno stato d’animo che Sartre ha provato e ha cercato di esorcizzare dalla propria vita, quindi si configura come un testo monco, non concluso, quasi la fotografia di un brutto momento. Valeva la pena immortalarlo solo perché lo si è provato? Sì, certo, è sempre utile scrivere i propri pensieri, quando sono precisi ed universali. Vale la pena leggerlo? Con grande prudenza. Di buono c’è che sono rimasto così desolato nel condividere le visioni di Antoine Roquentin che ne sono uscito più forte, desideroso di non provare mai un simile disgusto per il mondo. Si rischia di impazzire, di suicidarsi o, nel migliore dei casi, di perdere inutilmente molti anni della propria vita. Meglio adeguarsi almeno un po’ alle convenzioni, cercare il senso della vita nelle cose semplici, perché altra scelta non c’è se non l’autodistruzione; averci pensato e aver fatto una scelta aiuta ad essere consapevoli che non si vive in un certo modo perché non si ha la consapevolezza della sua gratuità, ma perché la si è accettata in quanto tale. |