In questo sito il protagonista sei tu.
Registrati ne Il Mondo Dei Librogames  
Login
Nome utente:

Password:

Ricordami

Hai perso la password?

Registrati ora!
Ricerca
Menu principale
Statistiche Utenti
Membri:
Oggi: 0
Ieri: 0
Totale: 1330
Ultimi: Cucciola78

Utenti Online:
Guests : 0
Membri : 44
Totale: 44
Lista utenti Online [Popup]
Utenti più attivi
1
lonewolf79
3954
2
FalcoDellaRuna
3427
3
Gurgaz
2622
4
Xion_Aritel
1734
5
=Dr.Scherzo=
1452
6
MetalDave
1262
7
Devil_Arhangel
1228
8
Skarn
1174
9
UomodiAnaland
1090
10
Federico
1025
Nuovi utenti
Cucciola78 12/11/2021
Alexthelord 20/5/2021
il_regno_di_Ozz 27/4/2021
riki25 11/4/2021
RangerDelSommerund 5/4/2021
Mirsea 28/3/2021
Marco 27/1/2021
Rinaldo 8/12/2020
giuseppe95 24/11/2020
Spymode 23/11/2020
Segnala messaggio:
 

Re: Il prologo del mio libro

Oggetto: Re: Il prologo del mio libro
inviato da Gurgaz il 6/11/2006 12:01:33

INTRODUZIONE

ALLE ORIGINI DEL MONDO...

In un remoto passato, quando l’uomo non esisteva nemmeno nei sogni degli dei, quando il tempo non aveva significato perché il mondo non era ancora stato plasmato, allora regnava il Nulla. Questo non era né caotico, né ordinato, semplicemente si limitava a non essere. Non c’era bisogno di nessun essere vivente, quale l’uomo o gli animali, perché gli dei vivevano in pace nel Piano Esterno, chiamato Ehtel Kirion, che significa “concordia degli dei”.

Questa beatitudine era destinata a non durare in eterno; gli dei, turbati dall’immobilità in cui le loro sostanze permanevano, cominciarono ad interessarsi al Nulla, chiedendosi se fosse possibile trasformarlo in qualcosa che fosse meno statico e più allettante dell’Ehtel Kirion. I più potenti tra di loro si misero all’opera, dando forma e sostanza alla materia amorfa, ciascuno secondo il proprio intelletto. Il Nulla assunse una consistenza tangibile, fu riempito di ogni sorta di oggetti, che ad occhi umani sarebbero apparsi meravigliosi od orribili, mentre per gli dei erano tutti oggetti buoni, graditi alla loro vista.

Alvan il Raggiante colmò il Nulla di una sostanza leggera e volatile, l’Aria, in cui le divinità intente a creare poterono librarsi. Giunse quindi Xevinia l’Artigiana, che fece notare al dio: -“È bello cavalcare l’aria che la tua mente ha prodotto, ma per me e per gli dei desidero un seggio stabile, dal quale poter contemplare la nostra opera”. Xevinia contrappose all’aria di Alvan una materia solida e possente, la Terra, che fissò al centro del nuovo mondo e modellò a forma di sfera.

Alvan fu contrariato dall’opera della dea, poiché giudicava la Terra un turpe elemento. -“In queste tenebre impenetrabili il tuo trono è tetro e non somiglia proprio alla sede di un sovrano, o Artigiana” – disse Alvan – “Lascia che lo renda luminoso ed ingioiellato, come lo sono i nostri scranni nell’Ehtel Kirion”. Alvan chiamò presso di sé il figlio Orios l’Ardente, invitandolo a prendere parte alla creazione. Orios adornò il trono di Xevinia con torrenti e fontane di Fuoco, facendolo splendere nel buio primordiale come una torcia.

Xevinia non gradì questo intervento. -“Davvero Orios ha creato qualcosa di mirabile, ma non è certo in questo tripudio di luci e colori che potremo presiedere con chiarezza alla creazione. Permettetemi di riportare un po’ di quiete”. La dea convocò il figlio Vengal il Gelido, che rovesciò sulla Terra una cascata di materia nuova, l’Acqua, che soffocò i fuochi di Orios e li sospinse nelle profondità della Terra, ripristinando l’oscurità.

Orios proruppe: -“Così dunque sono ricompensati i miei sforzi? Di così scarsa fattura erano le gemme con cui ho adornato il tuo trono, o Artigiana? Tuo figlio ha rigettato il cosmo nel buio e nel freddo, celando ancora una volta il nostro lavoro. Mi ricorderò di questo affronto: il Fuoco che avete imprigionato non si spegnerà, ma acquisterà sempre più vigore, finché le fondamenta della Terra e i bacini dell’Acqua non potranno più contenerlo. Quando questo avverrà, tremerà la Terra e si scuoterà l’Acqua, in memoria dell’offesa ad Orios l’Ardente”.

Alvan si accostò al figlio: -“Ho ancora bisogno del tuo aiuto, mio diletto. Questa tenebra non giova alla creazione; appicca il tuo Fuoco a questo braciere dorato che ho costruito, affinché irradi la luce che ci serve”. Orios acconsentì e Alvan appese il suo braciere alla volta celeste, inondando il neonato cosmo di Luce. Alvan disse: -“Ecco, io vi dono la Luce e il suo braciere, che voglio chiamare Sole. Mirate ora, o dei, la nostra opera e prendetevi parte, ciascuno secondo le sue intenzioni”.
I figli minori di Alvan, Narya la Verde e Beilon il Pastore, scesero sulla Terra ed osservarono che poteva diventare una dimora per esseri viventi, la cui genesi era il loro scopo recondito. La Terra primordiale era però ostile alle creature di Narya e Beilon, perché seguiva il volere di Xevinia, che non l’aveva formata per ospitarvi altri esseri all’infuori degli dei. Anche l’Acqua si opponeva ai tentativi dei figli di Alvan, poiché Vengal desiderava mantenere il suo dominio mondo dalle creature inferiori.

Narya e Beilon si rivolsero al fratello maggiore, Pletos il Legislatore, per ricevere un consiglio. Questi proferì: -“Non è possibile continuare in questo modo. Ciascuna divinità ha il diritto di agire sul Nulla e riempirlo come meglio crede. Xevinia e Vengal non possono considerare di loro proprietà la Terra e l’Acqua, ma devono permettere agli altri di usufruirne per il bene comune”. Tutti ascoltarono le sagge parole di Pletos e furono d’accordo, ma Xevinia e Vengal si sentirono defraudati e covarono progetti di vendetta.

Vengal si rivolse a suo fratello Draaken il Cupo, che era ancora rimasto inattivo nell’Ehtel Kirion. Gli disse: -“Fratello, poco ti curi dei soprusi perpetrati contro i tuoi congiunti, laggiù. Davvero non hai interesse a lasciare un tuo segno in questa creazione?”. Draaken sogghignò e rispose: -“Sai bene che la mia mente non è capace di concepire nulla di nuovo, non sa creare, solo distruggere. Se mi chiamano il Cupo è perché non prendo parte ai discorsi e ai progetti degli altri dei. Non m’interessano e li trovo inutili”. Vengal guardò il fratello dritto negli occhi: -“Ebbene, se non sei capace di creare nulla, offrimi il tuo aiuto per distruggere. I figli di Alvan stanno riempiendo il materno trono di Terra e il mio limpido tappeto di Acqua con ogni sorta di parassiti. Creature piccole, di forme sgraziate, sciocchi pupazzi per i giochi di Narya e Beilon”. Draaken pareva acquistare interesse, così Vengal proseguì: -“Non possiamo semplicemente distruggerli; Pletos e Alvan ce lo proibirebbero. Rispetteremo le regole e considereremo queste creature al pari delle nostre opere. Tu puoi renderle caduche e mortali, destinandole ad una vita finita”. Draaken annuì, ma osservò: -“È ragionevole quanto dici, tuttavia sarei da solo contro molti dei”. Vengal disse: -“Allora chiederò a nostro padre Lotan di intervenire”.

Lotan aveva già da tempo valutato se e quando intervenire nella creazione. Secondo il suo giudizio, la famiglia di Alvan aveva preso in mano la situazione, imponendo la sua visione del mondo. Sua moglie Xevinia e suo figlio Vengal avevano cercato di opporsi, ma senza successo. Quando Vengal lo interpellò, Lotan aveva già deciso cosa fare, l’unico atto che avrebbe permesso alla sua stirpe di riaffermare il proprio potere.

Lotan si portò di nascosto nei pressi del Sole. Osservò per un istante lo splendore del braciere di Alvan, poi lo coprì con una densa coltre di Tenebre. Il cosmo piombò nell’oscurità, le creature furono disorientate e persero di vista i loro signori, Narya e Beilon. Draaken si accostò alla Terra e all’Acqua e sfiorò tutte le creature dei figli di Alvan, che furono destinate a spegnersi lentamente, perché il tocco di Draaken è portatore di Morte. Il vile atto di Lotan fece fremere d’ira Alvan e la sua famiglia. Orios cercò Draaken perché rendesse conto della corruzione arrecata alle meravigliose opere dei fratelli minori. Trovò invece Khazor il Guerriero, figlio maggiore di Lotan, un dio che amava fomentare conflitti. Khazor derise Orios e lo affrontò in un duello che fece tremare il cosmo intero. Ci fu grande scompiglio nell’Ehtel Kirion e anche gli altri dei presero ad azzuffarsi tra loro.

Solo la saggezza di Pletos pose fine a quello scontro senza vincenti. Egli fece notare che gli dei si stavano combattendo tra loro, cosa mai accaduta finché i loro intelletti erano rimasti confinati nell’Ehtel Kirion. -“Questo nuovo cosmo non è stato creato perché gli dei abbiano cagione di scontrarsi. Deponiamo le armi e riuniamoci in consiglio. Con la riflessione e il dibattito troveremo la soluzione ai nostri dissidi”. Gli dei si sedettero attorno ad un unico tavolo, mentre il mondo attendeva ansioso, abbandonato alla tetraggine. Ciascuno espose le sue ragioni e i suoi progetti, mentre gli altri ascoltavano pazientemente. I sacri numi potevano vantare eguale potenza e perciò ciascuno desiderava realizzare la propria visione, anche quando era inconciliabile con le altre. Da questa constatazione, si concluse che gli dei erano entrati in un conflitto irresolubile. Fu l’inizio della Guerra Cosmica degli dei, una contesa che dura da talmente tanto che gli uomini non possono nemmeno concepirne il principio.

Si formarono due fazioni, corrispondenti alle famiglie di Alvan e di Lotan: la prima aspirava ad un cosmo luminoso, dominato dalla bellezza e dall’ordine; la seconda, invece, sperava di sprofondarlo in un buio eterno, dove regnassero il disordine e l’abiezione. Fino ad allora l’opposizione tra le due famiglie aveva portato alla reciproca vanificazione degli sforzi, generando un cosmo che non soddisfaceva nessuno.

Alvan prese la parola: -“Mi rivolgo a tutti voi, divini fratelli. Abbiamo visto che nessuno può prevalere, finché combattiamo tra di noi. Dobbiamo perciò dare delle regole alla creazione, stabilite di comune accordo, di modo che nessuno abbia di che lamentarsi. Se una sfida ci deve essere, che almeno si stabiliscano le leggi che la governano”.

Lotan ribatté: -“Le regole non hanno mai incontrato il mio gusto, o Raggiante, poiché credo che tutto si governi da solo nel modo migliore. Tuttavia sono d’accordo sul fatto che i miei figli e i tuoi debbano smettere di litigare. Non hanno scopo nell’azzuffarsi, gli dei. Ascoltate la mia proposta: lo scontro è iniziato fin da quando si è scelto di colmare il Nulla. Ciascuna divinità apportava il suo contributo, colpendo indiscriminatamente le creazioni degli altri. Quando si è deciso di portare lo scontro qui, nell’Ehtel Kirion, la guerra esisteva già nel mondo senza nome che abbiamo plasmato. Io propongo di continuare la nostra sfida laggiù, fino a che le nostre idee non si saranno esaurite”.

Gli dei approvarono la proposta di Lotan. Dopo aver intaccato la pace senza tempo dell’Ehtel Kirion, i numi erano ansiosi di riportare la placidità delle ere passate. Così si trasferirono nel mondo creato e ripresero a dar forma alle loro idee. Il mondo che uscì da questa sfida demiurgica fu un insieme globalmente caotico, ma governato da alcune leggi che dettavano l’equilibrio tra l’operato dei due intenti divini.

Il primo pensiero di Alvan fu di scoprire il braciere, per permettere ai figli di osservare con più chiarezza le loro opere. Proprio in quel momento gli si fece incontro Lotan, che non era d’accordo: -“Non puoi semplicemente scoprire il Sole, o Raggiante. Non intendo permetterlo, perché i miei figli non lo gradiscono”. Rispose Alvan: -“Vuoi dunque che lottiamo qui, sul tetto del mondo, infido Oscuratore? ”. -“No, non dobbiamo lottare” – replicò Lotan – “Possiamo accordarci. Non sei tu colui che ama le norme e i patti? Ebbene, facciamo sì che in questo cosmo il tempo non sia indefinito, come nell’Ehtel Kirion, ma suddividiamolo equamente secondo le nostre esigenze. A questo scopo utilizzeremo proprio il Sole che tu hai creato e il drappo che io ho posto su di esso”. Il tempo fu così diviso in momenti di luce, detti giorni, in cui il potere della famiglia di Alvan era massimo, e momenti di tenebra, detti notti, dominate dalla progenie di Lotan.

Narya la Verde osservò che le sue creature, nate sotto il Sole, di notte diventavano nere e lugubri, i fiori si chiudevano e i virgulti rinunciavano a crescere. Beilon il Pastore si rese conto che il buio rendeva gli esseri viventi inquieti, paurosi e disperati. I due figli interpellarono la madre Sharai, nella ricerca di un palliativo, di un piccolo rimedio che permettesse la sopravvivenza della vita anche nella tenebra. Sharai provò compassione per la tristezza dei figli e decise di aiutare le creature che essi avevano generato: donò un suo occhio e lo pose nel cielo notturno. Esso emetteva una luce grigia, povera, ma era un faro di speranza acceso per le creature viventi. L’Occhio di Sharai, la Luna, si apre e si chiude periodicamente, lasciando fuoriuscire le piccole Lacrime d’argento della dea, le Stelle, che diventano più numerose e visibili quando l’occhio si serra. Forti del sostegno di Sharai, molte creature viventi si adattarono alla vita notturna e trassero vantaggio da essa.

Col tempo alcuni figli di Lotan acquisirono interesse per le creature viventi e vi instillarono esigenze e sentimenti nuovi: Vengal e Khazor spinsero gli esseri a desiderare il predominio e il benessere, insegnando come acquisirli a spese delle altre creature e dei propri simili. Per ere gli esseri viventi nacquero e morirono, perfettamente integrati in questo cosmo ancipite, legandosi alle divinità del giorno o a quelle della notte.

La Guerra Cosmica degli dei pareva giunta alla stasi. Nessuna divinità trovava motivo di competizione con le altre, poiché il mondo aveva raggiunto un equilibrio che nemmeno gli dei avevano pronosticato. Perplesso da questa situazione inaspettata, Alvan convocò un nuovo consiglio divino.

Il dio prese la parola: -“Fratelli, ho convocato questo consiglio perché la situazione che si è creata nel mondo immanente è ormai fuori del nostro controllo. Ciascuno si è attenuto con piena responsabilità alle decisioni della precedente assemblea, ma davanti ai nostri occhi abbiamo un cosmo che ha una vita propria e procede per la sua strada, mostrando di non avere bisogno di noi”.

La prima a rispondere fu Xevinia l’Artigiana: -“Raggiante, la verità è che la creazione è finita e non c’è più necessità del nostro intervento. Questo è il risultato della nostra guerra. Un mondo che non ha consapevolezza dei suoi creatori, che non ha gratitudine, che non ha più nulla da offrire. Io ho posto le fondamenta della Terra, sulla quale i tuoi figli e i miei si sono sollazzati con le creature viventi. Per questo mi chiamate Artigiana. Ora, io propongo di tornare indietro, di svuotare il cosmo e di tornare al Nulla. Ricominciate poi a riempirlo, se ne avete il desiderio. Non vedo altro scopo nel mondo senza nome che sta laggiù”.

Udite queste dure parole, Narya la Verde si alzò in piedi e proferì: -“Comprendo il tuo disinteresse per le creature mie e di mio fratello, ma se solo avessi provato a creare qualcosa di vivo, qualcosa che serba un germoglio del tuo intelletto, allora saresti di altro avviso. Se il consiglio deciderà di precipitare tutto nel Nulla io mi adeguerò; ma il mio diletto sta nella vita e nelle piante che ho creato, come quello di mio fratello Beilon sta nell’accudire i suoi animali. I tuoi parenti hanno fatto di tutto per corrompere i frutti del nostro lavoro: Draaken li ha maledetti con la morte, Lotan li ha annegati nelle tenebre e Khazor e Vengal li hanno spinti a combattersi per la supremazia; ciononostante essi sono sopravvissuti e continuano a nascere e a moltiplicarsi”.

A queste parole, i figli di Alvan presero ad accusare i figli di Lotan di aver rovinato l’intera creazione. Questi negarono ogni colpa, perché tutto si era svolto secondo le regole decise di comune accordo e non vi era ragione di protestare. L’alterco sarebbe proseguito all’infinito, se non avesse preso la parola Mavris, figlia minore di Lotan, che non aveva avuto parte nella creazione. La giovane dea disse: -“Ascoltatemi, fratelli. Non mi sono mai intromessa nei vostri discorsi perché non ho voluto partecipare all’opera cosmica. Vedo però che avete bisogno di un consiglio, di un rimedio che solo un interlocutore imparziale può offrirvi. Ebbene, siccome siete insoddisfatti perché le vostre creature non si curano più di voi, unite le vostre forze per dare vita ad esseri che vi rispettino, vi temano e vi ascoltino. Per evitare altre polemiche su paternità e corruzione di queste creature, foggiatele di comune accordo. Ciascuno di voi ponga in loro parte di sé, così nessuno le percepirà estranee”.
Gli dei tacquero e rifletterono sulla geniale proposta di Mavris. Pletos il Legislatore rispose: -“Credevo di possedere il dono del giudizio, ma in questo frangente la giovane Mavris mi ha messo in ombra. Sì, questa è la soluzione, genitori e fratelli. Creiamo una stirpe che segua i nostri dettami, che abbia a cuore le nostre cause, che ci renda culto e che ci riempia di gioia ed orgoglio”.

Vengal il Gelido sorrise ed aggiunse: -“Così sia. Ricordate, onorati fratelli, che i nostri dissapori sono tutt’altro che dimenticati. Siamo destinati a scontrarci ancora, finché questo mondo esiste. Questa progenie divina sarà lo strumento con cui dirimeremo le nostre contese. Poiché nessuno potrà dirsi unico padre di queste creature, nessuno si sentirà danneggiato se moriranno, se saranno corrotte o se soffriranno per le nostre dispute. Anzi, esse saranno il mezzo per salvare noi dagli scontri diretti, o dall’eterna immobilità”.

-“In quest’opera avrete bisogno di me” – disse Mavris la Dotta – “perché io posso donare a questa discendenza la sete di conoscenza e il senno per concepire l’esistenza degli dei, senza i quali essa sarebbe come le piante della Verde o le bestie del Pastore”.

I due schieramenti ultraterreni unirono le loro forze per creare una razza che soddisfacesse il gusto di entrambi: essa era bella, amorevole, serena, ma allo stesso tempo era capace di malvagità, odio, distruzione, grazie alla sua superiore intelligenza.

Gli dei avevano creato l’uomo. Pur possedendo il senno di Mavris, questa razza visse per secoli come le altre bestie della terra, imparando a lottare per la vita secondo le intenzioni di Khazor. Dopo tremila anni gli dei apparvero ad alcuni uomini e li resero partecipi del mistero della creazione. Questi riconobbero subito i loro artefici, ma non seppero quale fazione ringraziare. Chiamarono dei della Luce quelli che regnavano sul giorno, dei della Tenebra i signori della notte. Fin dall’alba della razza, gli uomini vissero con profonda passione lo scontro oltremondano tra divinità. Si divisero tra adoratori della Luce e della Tenebra, combattendosi senza sapere che i loro artefici erano sia i Lucenti sia gli Oscuri. Gli dei erano soddisfatti della loro creazione: ora possedevano una scacchiera su cui giocare e alleviare il tedio dell’eternità. Pur potendo spostarsi dall’Ehtel Kirion alla terra immanente, giurarono di non scontrarsi mai di persona: sarebbero stati gli uomini i loro pezzi da gioco, in una partita che avrebbe decretato quale stirpe divina era più degna di regnare sul mondo.

La guerra tra Luce e Tenebra divise l’umanità per quattromila anni, senza che alcun evento riuscisse a rompere l’equilibrio tra le fazioni. Gli uomini avevano finito col legarsi saldamente a questa lotta tra fedi, divenendo col tempo incapaci di elevare una alla massima potenza. Intere dinastie furono annientate, eppure il conflitto fratricida continuò a lungo senza esito, nella prospettiva dell’improbabile vittoria di un partito, che tardava ad arrivare.

Ma ci fu un uomo che osò sfidare gli dei e porre fine alla Guerra Cosmica. Caro sia alla Luce sia alle Tenebre, egli si comportò come nessuno prima di lui, sconcertando mortali e immortali, conquistando la libertà della sua razza e la propria dannazione.

Questa è la storia di Irian di Samiz, Gran Sacerdote della Luce e delle Tenebre, della sua sfida alle tradizioni dell’uomo e alle leggi dei numi, della sua travagliata impresa salvifica e della sua tragica conclusione.
Annunci
copyright (c) 2006-2007 IMDL All right reserved