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Re: [Prologo] - Floriano

Oggetto: Re: [Prologo] - Floriano
inviato da Gurgaz il 31/1/2009 18:02:40

Il viaggio dura una settimana intera, ma trascorre veloce e sereno in compagnia del buon Geremia. Floriano si sente a suo agio con quel vecchietto simpatico e sorridente, prodigo di buoni consigli e ricco d’esperienza. Il Mago lo tempesta di domande e quello risponde sempre più del necessario, perdendosi in lunghe divagazioni mentre guida tranquillo il suo ronzino Admeto.

Il tragitto li porta a toccare diverse grandi città della Landa delle Furenti Viole e di Bramoldia: Vèpoda, patria di Sant’Antinio e degli orti botanici, Cinveza dalle grandi ville, Neorva con la sua poderosa Arena e le città turrite di Ebrisca e Gromeba, spesso in guerra tra loro.

Floriano vorrebbe fermarsi in ciascuno di questi luoghi e visitarli con una guida esperta come Geremia, ma lo straccivendolo gli dice che purtroppo gli affari lo richiamano ad Ilmona e non può indugiare per strada. Chissà quali “importanti questioni” possono spingere un umile commerciante a recarsi nella più grande città occidentale di Laitia? Poco importa: Floriano si è affezionato al vecchio e alle sue storie, inoltre l’idea di restare ad Ilmona lo alletta più che una serie di soste nelle varie città. Ha con sé poco denaro e non può permettersi di gironzolare dovunque gli vada.

Geremia non gli chiede molto per viaggiare con lui. Gli piace la compagnia di Floriano e, in un’occasione, il suo aiuto gli è indispensabile per sbloccare una ruota del carro rimasta incastrata in una buca. Il Mago non spicca per forza ed energia, ma senza due braccia in più il vecchio avrebbe dovuto tornare indietro al villaggio precedente a cercare aiuto, col rischio di farsi rubare il carico da qualche ladruncolo di passaggio. Da quell’evento, Geremia ha cominciato a trattare Floriano come un figlio e a condividere con gioia quel che possiede.

Infine i due giungono ad Ilmona, capitale di Bramoldia. Ciò che stupisce Floriano in quella metropoli nuova e gigantesca è la cattedrale urbana, dalla cui sommità la statua dorata della Grande Madre guarda pietosa gli adepti del Nuovo Culto. Un’opera di tale imponenza sfida le leggi della fisica e in qualche modo ricorda a Floriano le Sette Ville Cadenti, ritte in direzione il cielo sebbene la terra le trascini con forza verso il basso.

Giunge il momento della separazione e Floriano saluta Geremia con un caloroso abbraccio. Il vecchietto gli augura buona fortuna e lo invita a fargli visita, se per caso ripassasse a Pennedoro. Floriano lo ringrazia ancora e fa per dargli i 30 cei pattuiti, ma il vecchietto rifiuta. “Tienili pure tu” – gli dice – “magari spendili subito in un pranzetto coi fiocchi, visto che oggi non abbiamo avuto tempo di fare nemmeno uno spuntino a mezzodì. In viaggio abbiamo mangiato frugale ed avrei voluto offrirti un pasto come si deve”.

“Ti sono molto grato per la tua ospitalità, vitto incluso” – risponde sorridente Floriano – “Con te ho mangiato meglio che alla mensa della Scuola dove ho studiato”.

“Ad ogni modo” – continua Geremia – “La taverna alle tue spalle è la migliore della zona. Mi unirei a te, se non fossi già in ritardo. Devo trovarmi tra un’ora precisa nel mercato di un’altra contrada”.

“Come si chiama questo quartiere?” – domanda il Mago. “Cirrobabo” – risponde l’altro – “siamo a nord-ovest della piazza principale che abbiamo attraversato un’ora fa”. Floriano ringrazia ancora il vecchio rigattiere, uomo destinato a non diventare mai ricco, e si dirige verso l’invitante insegna del Gatto Nero.

L’interno è poco affollato. L’oste nota subito il nuovo venuto e lo saluta, gentile ma apparentemente a disagio. Floriano ricambia e chiede se è possibile pranzare, anche se è pomeriggio inoltrato. L’oste scuote la testa. “Sono desolato, signore” – si scusa il pover’uomo – “ma la cucina è vuota. Non c’è rimasto nulla neppure per la cena. Quel pessimo individuo là in fondo e il suo famelico gattaccio si sono mangiati tutto quel che avevamo”. E gli indica un tavolo sul quale è accasciato un tizio dalla chioma nera ed arruffata, immerso in un sonno profondo scandito dal sonoro russare.

(Fine Prologo di Floriano)
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