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Re: [Prologo] - Teobaldo

Oggetto: Re: [Prologo] - Teobaldo
inviato da Gurgaz il 31/1/2009 18:11:33

Ah, finalmente Ilmona! Dopo settimane passate tra mulattiere e polverosi sentieri, Teobaldo sente gli zoccoli del suo destriero risuonare sul selciato. La gente si scosta al suo passaggio e i bambini lo guardano con curiosità, colpiti dal suo nobile incedere e dal portamento altero, che stride con i vestiti e il viso non proprio impeccabili, per non dire sporchi.

Gli ci vuole circa un’ora per raggiungere la piazza principale ed ammirare il famosissimo Duomo, di cui si sente parlare in tutta Laitia. Teobaldo rimane per diversi minuti a fissare la stupenda costruzione, finché non si ricorda che è giunto fin lì per recarsi al castello degli Spossa. Ora sarà tutto più facile con le credenziali fornite da messer Apollodoro di Viltio.

Ferma un passante e gli chiede la strada per la fortezza dei signori di Bramoldia. L’Ilmonese gli dà un paio di indicazioni sbrigative e non si ferma neppure a verificare se ha capito o no. Infatti Teobaldo non ha capito un accidente ed è costretto a rivolgersi ad un altro. Anche il secondo gli spiega la strada in quattro e quattr’otto e se ne va, senza dargli modo di replicare. Al terzo tentativo, Teobaldo prova a trattenere il cittadino, ma questi si divincola e gli urla qualche brutta parola in dialetto ilmonese.

Pare che nessuno in questa frenetica città abbia tempo di dare indicazioni sensate, così Teobaldo si ferma a riflettere e conclude che tutti e tre gli hanno detto di prendere la strada a nord e di svoltare ad ovest dopo un po’. Il guerriero decide di tentare, nella speranza di trovare qualche persona più ospitale verso gli stranieri e meno frettolosa nel parlare.

Cammina a lungo Teobaldo, ma dopo un’ora del castello Spossesco neanche l’ombra. Attraversa stretti vicoli, con le briglie del fidato cavallo sempre in mano e la lettera al sicuro nella sacca appesa alla sella. Ad un tratto da una viuzza laterale sbuca una figura scura e grottesca, che gli piomba addosso senza accorgersene. “Ebbene?” – chiede Teobaldo, scrollandosi di dosso l’uomo – “Le pare il modo di imboccare una strada? Mi siete piombato addosso come se foste un ladro”. Nel frattempo deve tirare le redini del cavallo, che nitrisce spaventato alla vista di un grosso gatto nero, evidentemente al seguito dello sconosciuto.

“Mille scuse nobile signore” – mormora il tizio, intimorito – “Maltravasso non aveva nessuna intenzione di offendervi o di scomporre le vostre pregiate vesti”. E come se niente fosse allunga le mani e comincia a rassettargli l’abito. Teobaldo si sottrae seccato e gli intima di andarsene per la sua strada, prima che si senta in dovere di dargli una lezione. “Desolato, voscienza” – risponde – “volevo solo rendermi utile ed alleviare il vostro danno. Poiché non apprezzate le mie premure, proseguite pure il vostro cammino e io farò altrettanto”.

Teobaldo si volta e si tira dietro il cavallo, che si allontana ben volentieri da quel ringhiante gattaccio. Dopo un po’ i vicoli lasciano spazio ad una piazzetta, dove il giovane intravede, con suo grande sollievo, un corpo di guardia. Un armigero è ritto davanti all’entrata e sicuramente non potrà scappare o rifiutarsi di dargli chiare informazioni.

“Chiedo perdono” – gli si rivolge Teobaldo – “Sono straniero e temo di essermi perduto per questi vicoli. Sapete dirmi dove sono finito e come posso trovare il castello dei signori della città?”

“Siete nella contrada di Cirrobabo” – gli spiega la guardia – “Questo è il corpo di guardia rionale. Posso chiedervi chi siete e perché volete andare al castello?”

“Il mio nome è Teobaldo da Tàbisa” – risponde orgoglioso il guerriero – “E sono qui per offrire i miei servigi al pregiatissimo Duca di Bramoldia. Ho proprio qui la lettera di un illustre personaggio che garantisce per la mia onestà e lealtà nel servire...”

Orrore e raccapriccio. Mentre parla, Teobaldo corre con gli occhi alla sella e si accorge che la sacca è sparita assieme al contenuto. Era proprio lì, solo pochi minuti prima! L’ultima volta che ci aveva buttato l’occhio era proprio quando ha incontrato quel Maramaldo, Malatrasso, o come diavolo si chiama. Poi non aveva più controllato.

Maledizione! Quello era un ladro e lui si è fatto fregare come un’idiota! Incurante dello stupore e delle domande della guardia, Teobaldo salta in groppa al cavallo e si getta nei vicoli dai quali è giunto, deciso a ritrovare la sua pergamena.

(Prosegue Federico. Narra l’affannosa ricerca nelle strette vie di Cirrobabo, che dura un paio d’ore. Teobaldo è agitato e chiede a tutti se hanno visto il probabile ladro, senza troppo successo. Quando tutto sembra perduto, Teobaldo noterà davanti alla Taverna del Gatto Nero lo stesso enorme gatto che aveva spaventato il suo cavallo. Entrerà perciò nella Taverna.
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