E venne il giorno (2008) |
Oggetto: E venne il giorno (2008) inviato da =Dr.Scherzo= il 5/1/2009 0:38:51 SINOSSI: Una misteriosa neurotossina colpisce senza preavviso il Nord-Est degli Stati Uniti, provocando agghiaccianti suicidi di massa e gettando nel panico la popolazione. Un insegnante, Elliot Moore (Marc Wahlberg), sua moglie Alma (Zooey Deschanel) e la piccola Jess (Ashlyn Sanchez) fuggono verso Ovest, cercando una spiegazione e sperando di sopravvivere. Shyamalan è un regista che trovo complicato recensire. Il motivo? Penso sia un artista di non immediata (per non dire difficile) comprensione. Come tale, ritengo venga spesso frainteso, e ciò mi mette in difficoltà. Quando osservo le sue opere non ho mai la sensazione di poter esprimere un giudizio definitivo: mi serve sempre tempo per digerirne la visione, per lavorare sui concetti espressi, e per arrivare ad una conclusione per me accettabile. “The Happening” (titolo originale di “E venne il giorno”) non fa eccezione. L’inizio mi è sembrato decisamente molto simile all’incipit di “The Cell”, paranoico romanzo d’argomento splatter/pseudo-escatologico firmato Stephen King. Vi sono addirittura dei momenti di fatto identici (il grido lontano nel bel mezzo del parco, l’abbaiare di un cane che preannuncia la catastrofe), e la cosa non può sfuggire a chi ha letto il libro. La fotografia è pulita, e compie magistralmente il suo dovere, rivelando una pregevole cura anche verso il più piccolo particolare. Le inquadrature non sembrano mai fuori posto, e la storia viene narrata in modo scorrevole e senza grossi intoppi. Alcuni dubbi potrebbero nascere se si esamina la pellicola dal punto di vista delle dinamiche, siano esse interpersonali o di semplice causa-effetto: ci si potrebbe domandare, ad esempio, perché la tossina sembra colpire alcune persone ed altre no, anche se queste si trovano solamente a pochi passi da chi effettivamente muore. Oppure ci si potrebbe chiedere come si possa anche solo provare a scappare da una cosa come il vento, in particolare se ci si trova a piedi ed in aperta campagna. In certi punti del film è persino possibile gustare un tocco d’ironia sorniona e surreale, cosa che potrebbe sembrare fuori luogo o comunque poco coerente con la drammaticità della situazione in cui si trovano i personaggi. In alcuni tratti il racconto si rivela un po’ lento, mentre in altri pare quasi tirato per i proverbiali capelli. La figura della signora Jones, per dirne una, è difficile da inquadrare, e pare sinceramente un personaggio un po’ “al limite”, a metà strada tra l’altera istitutrice di un orfanotrofio ottocentesco e Norman Bates di “Psyco”. Il finale circolare mi è parso poco originale ed un pizzico ridondante: l’espediente di collegare la fine dei film col loro inizio, pur non sfigurando, è stato già ampiamente sfruttato. Tutto però finisce per passare in secondo piano rispetto al tema affrontato da Shyamalan, che una volta ancora ci presenta una parabola sulla fede. L’intero film, infatti, si dimostra l’ennesima metafora religiosa, celata stavolta sotto una semplice “storiella ecologista” per renderla più fruibile al pubblico. In questa ottica va vista la crisi di coppia che attraversano Elliot ed Alma: lui ad un certo punto dice che lei non vuole figli perché “non si sente ancora pronta”, mentre alla fine del film lei è felice di scoprire d’essere incinta, come se le energie spirituali dei due, prima deboli e spezzate, fossero tornate gioiosamente in armonia con il cosmo. Il che va benissimo, eh? Però… Mh. Posso essere schietto? Ho il sospetto che il regista indiano, pur partendo con le migliori intenzioni, si stia fissando un po’ troppo con un certo tipo d’idea, di messaggio, di morale. Il proposito è lodevole, per carità, ed a lui vanno i miei complimenti; tuttavia, inizio a pensare che a volte raccontare storie differenti, e non costantemente legate al medesimo concetto, possa risultare meno ripetitivo e meno… insistente, diciamo. Voto complessivo: 6,5 (ben diretto, ma ogni tanto variare l’idea di fondo non farebbe male) |