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Apocalypse Now (1979)

Oggetto: Apocalypse Now (1979)
inviato da =Dr.Scherzo= il 18/3/2009 18:37:56

Sinossi:
Vietnam, 1969. Al tormentato capitano Willard (Martin Sheen), militare di stanza a Saigon, viene assegnata una delicata missione segreta: scovare ed eliminare l’indecifrabile colonnello Kurtz (Marlon Brando), berretto verde fuori controllo che vive asserragliato nelle giungle della Cambogia assieme ad un gruppo di autoctoni e fanatici che lo adorano come un dio. Scortato da un miserando manipolo di giovani e disastrati soldati, Willard inizia il pericoloso viaggio, un’odissea che lo porterà a confrontarsi con i più intimi orrori della guerra e dell’animo umano.

Mi hanno regalato il dvd mesi addietro, ma sono riuscito a vederlo solo adesso… non so, non mi sentivo mai abbastanza “pronto” per un film del genere. Poi, l’altro giorno, mentre cercavo un libro, ho aperto l’armadio ed il dvd era lì. L’ho preso senza pensarci e l’ho inserito nel lettore: l’ora di esplorare il pianeta “Apocalypse Now” era giunta.

Due ore e mezza dopo ritornavo sulla Terra con due semplici parole stampate nella mente: porca miseria.

Del cosiddetto “filone del Vietnam”, composto tra gli altri da film come Full Metal Jacket e Platoon, penso che Apocalypse Now sia forse quello più complesso e meno immediato. Sono tutte pellicole mostruose, sia chiaro, ognuna a suo modo epocale, ma dopo aver visto quella firmata da Coppola - l’unica che mi mancava – ho la sensazione che si trovino su piani differenti. Non voglio fare alcun tipo di paragone, dico solo che ho l’impressione che “Apocalypse Now” si discosti dal resto, e sia qualcosa più che una pellicola di guerra.

Affermo questo perché l’architettura di “Apocalypse Now” appare singolare, storta, quasi non euclidea. L’opera parte in un modo e finisce in un altro: da film di guerra si trasforma, trascende, diventa altro, oltrepassa i limiti, non è più ‘solo’ un viaggio nell’orrore della guerra in Vietnam, ma un viaggio all’interno degli orrori ancestrali dell’Uomo.

Straordinario e terribile allo stesso tempo, il film spazia dalle ferite fisiche a quelle ben più dolorose dell’animo, dal molto piccolo al molto grande, dal particolare all’universale, ed ora capisco perché in molti lo considerino un capolavoro nel genere. La sola raffigurazione dei dubbi e delle sofferenze che affliggono gli uomini che seguono Willard, ognuno con i suoi demoni personali da affrontare, potrebbe bastare ad indicare che siamo di fronte ad un grande film. Ma Coppola fa di più, molto di più. Come nella magistrale scena degli elicotteri che assaltano un villaggio sulle note della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, sequenza che tutti conoscono. Non si tratta solamente d’una eccezionale scena di guerra, girata in maniera mirabile. Viene utilizzata anche per esprimere un concetto basilare, ovvero che in un maledetto inferno come il Vietnam, ognuno cerca di salvaguardare la propria salute psichica come può: i soldati si aggrappano disperatamente alle cose che sono loro familiari, e si rifugiano in esse fino a sfiorare il maniacale/paradossale, arrivando a fare del surf mentre infuria una battaglia per estraniarsi e proteggere la mente da ciò che è costretta a subire, dal disfacimento totale.
L’atmosfera generale è pesante, alterata, e si respira un’aria malsana, angosciante, che diviene sempre più irrespirabile ogni minuto che passa. Più Willard s’avvicina al covo di Kurtz, più il film assume toni ambigui, intimisti, onirici.
Il ponte dove “nessuno governa più”, agghiacciante avamposto al confine tra zone occupate e territori dei vietcong, sembra simboleggiare il metaforico ponte tra ragione e follia. Quei soldati dalla mente ormai disfatta, che sparano incessantemente nella notte, circondati dal nulla, valgono più di mille parole. E’ tutto sfumato, sfuggente, evanescente, persino l’etica e la morale: cosa è realmente giusto e cosa no in disperati casi-limite come quello?
La moralità, appunto, è tra i temi centrali dell’ultima, inquietante mezz’ora. Willard, dopo aver perso quasi tutti i suoi compagni di sventura, finalmente incontra Kurtz. O meglio, è Kurtz a mostrarsi a lui. I suggestivi giochi di luce ed ombra sul volto di Marlon Brando appaiono come il riflesso dello spirito umano, in cui albergano in parti uguali bontà e delirio. Giusto e sbagliato, yin e yang, giorno e notte, bianco e nero: Kurtz si confonde in essi, lasciando lo spettatore nel dubbio. La fine giunge inevitabile, e cambia la visione della vita di Willard per sempre. Le domande rimangono. Il colonnello era veramente pazzo? Cosa lo ha spinto a fare quel che ha fatto? Quale tipo di guerra stava realmente combattendo? E’ lo stesso Kurtz, pochi istanti prima di spirare, a donarci una sibillina risposta: “L’orrore… l’orrore…”.

Voto complessivo: 9 (Colossale. Per me, che non sono mai andato oltre l’8, dare 9 significa molto. Straconsigliato)
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