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[Prologo] - Tartacot
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La bottega di Sora Beorchia è uno dei luoghi più pittoreschi di Laitia, questo è poco ma sicuro. Difficile trovare altrove una simile accozzaglia di cianfrusaglie: amuleti, bestiacce, trofei, conserve, filtri, pozioni, talismani, bacchette, fascine, erbacce, medaglioni, rune, bamboline, pupazzi, spaventapasseri, attrezzi, falcetti, roncole, stiletti, flaconi, fiale, idoli, pergamene, veleni, antidoti, ossicini, animali, rettili, volatili e tutto quanto si addice all'attività della Fattucchiera più celebre di Laitia.

Più di metà di questi oggetti sono delle porcherie, degli impiastri e degli intrugli completamente inutili, realizzati per spillare soldi a bella posta. Tartacot lo sa, ma è per l'altra metà che è si è spinto fino a questa cadente stamberga. Sora Beorchia ha il vizio di truffare i suoi clienti, però pochi possono competere con lei per quanto riguarda sortilegi, fatture e divinazioni. Il ragazzo è giovane, pieno di talento e speranze, ma è ben lontano dal diventare il grande Fattucchiere che vorrebbe essere. Ciò che conosce lo ha imparato dalla cara nonna, che ora giace nella terra assieme agli antenati.

L'amabile vecchina, cuoca dalle molteplici abilità e passioni, lo ha introdotto ai segreti delle erbe ed al loro impiego nella preparazione di pozioni. Gli ha anche insegnato a leggere il futuro tramite i tarocchi, dapprima come un simpatico gioco, poi con sempre maggiore consapevolezza. Ma ora la nonna non c'è più e Tartacot deve cercarsi una nuova insegnante. Ha camminato miglia e miglia per trovare la sua bottega ed ora si trova sulla soglia aperta, davanti a sé l'oscurità e gli strani odori dell'interno.

-"Ebbene? Hai deciso di stare lì impalato per tutta la giornata?" - sbraita una voce squillante - "Vieni dentro, e chiudi la porta dietro di te. L'aria fa male, corrompe la carne morta. Non lo sai?"

Tartacot lo sa benissimo e vorrebbe risponderle a tono, dicendo che per conservare a dovere le creature impagliate dovrebbe tenerle in un luogo meno umido, possibilmente in una teca. Ma l'ambiente lugubre e la paura di irritare Beorchia gli tengono a freno la lingua. Dopo un po' gli occhi si abituano al buio e tornano a vedere, grazie alla flebile luce che filtra dalle fessure nel legno. In mezzo ad una selva di statue, lucertoloni rinsecchiti, vecchi stracci e bisunte coperte, si trova un vistoso trono intagliato, probabilmente mezzo marcio, su cui siede una figura gobba e tozza.

Sora Beorchia prende in mano un oggetto coperto da un drappo, lo scopre e gli occhi di Tartacot sono inondati da un bagliore. Pare una pietra, ma emana la luce di dieci lanterne. -"Oh, ma che bel giovanotto" - dice la vecchia, invisibile dietro l'intensa luce - "un po' magrolino, forse. Chissà con che stupende intenzioni sei venuto a far visita a Beorchia, signora delle Fattucchiere!"

Tartacot si schiarì la voce e disse: -"Venerabile signora, son giunto da lontano, da oltre i monti Nanippeni, dai Cipresseti del Sàcanto. Sono qui per rendere omaggio alla vostra sapienza ed oso chiedere l'onore di diventare il vostro apprendista".

Una risata stridula riempì l'aria greve della capanna. -"Ma non mi dire!" - disse Sora Beorchia, divertita - "un altro furbacchione che vuole carpire i miei segreti e portarli in giro per il mondo, per chissà quali scopi. Perché mai dovrei essere contenta di trasmetterti quel che ho appreso in tanti anni di pratica ed esperimenti? Perché non dovrei portarmi tutto nella tomba, quando i miei padri vorranno chiamarmi presso di loro?"

(Prosegue Asmodeus. Immagina e scrivi come il tuo personaggio convince Sora Beorchia a prenderlo presso di sé come apprendista. Tieni presente che la vecchia è molto ostile ai nuovi apprendisti e che non ti accetterà se non le dimostri di essere determinato e sottomesso allo stesso tempo.)

Inviato il: 15/1/2009 22:15
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Re: [Prologo] - Tartacot
Diacono
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Il ragazzo assunse un'espressione fiera, mentre con un teatrale movimento delle braccia e dei polsi indicava la propria figura, dando mostra della sua persona, proprio come un mercante mostra all'avventore esigente la sua miglior mercanzia con quel muto compiacimento che comunica più di mille parole. Poi iniziò a parlare con voce ferma e decisa, lasciando appena trasparire l'emozione del momento.

"Sora Beorchia, venerabile Signora delle Fattucchiere.
Voi sapete che in me c'è molto più di quanto appaia.
Non è certo il corpo mortale che può contenere e limitare la potenza dello spirito, ma è questa che permette al corpo più misero di superare le maggiori avversità.
La via che ho iniziato a percorrere è lunga. Io questo lo so.
Senza una valida guida potrei non giungere mai in alcun dove."

Tartacot prense silenziosamente fiato ed osservò la vecchia fattucchiera che ascoltava con poca convinzione le sue argomentazioni e rimaneva seduta in maniera scomposta sul suo trono, circondata dai simboli della sua conoscenza e del suo potere. Gli occhi di Beorchia erano socchiusi ed un osservatore distratto o non particolarmente scaltro avrebbe potuto credere che fosse annoiata da quello sproloquio.
Ma il labbro di Tartacot si inarcò in un leggero sorriso mentre dopo l'esordio procedeva nel suo discorso.

"Oppure potrei crescere pericolosamente selvatico, intento ad gareggiare con la sorte senza tenere chiaro in mente che ogni passo che si muove ha delle conseguenze che si manifestano anche se indesiderate o indesiderabili.
Voi sapete che che tutti coloro che abbiano raggiunto un determinato limite nella comprensione di sé e del mondo naturale e spirituale possono riuscire a superare quel limite.
Voi sapete che senza una guida costoro rischiano di essere di nocumento a sé medesimi ed al mondo naturale e spirituale.
Voi sapete che tali danni sono da evitarsi come e più che la peste."

La vecchia continuava a scrutare il ragazzo, a valutare quale fosse l'entità del suo essere, ma rimaneva silenziosamente assorta aggiustando la postura ed assumendo una seduta più composta e dignitosa.

"Avete ragione quando dite che ho intenzione di ottenere il Vostro sapere e di portarlo in giro per il mondo ed avete ragione quando dite che le mie ragioni sono imperscrutabili: neppure io, infatti, ho ancora scoperto la ragione della mia esistenza e del mio essere in questo modo.
Forse una ragione non v'è ed è inutile affannarsi a cercarla.
Forse non è neppure necessario che una ragione esista per ciò che è.
Una cosa è certa.
Io non sono un vile ladro.
Io so che il sapere ha un prezzo e tale prezzo sono disposto a pagare.
Come Voi lo siete stata un tempo.
Come vedete, non Vi ho dato nessuna ragione per accettare di accogliermi come apprendista.
Non ne ho bisogno!
I Vostri antenati, oh venerabile, non Vi hanno ancora chiamati a loro perchè essi sapevano che io sarei giunto sin qui.
Loro sanno che io sono degno di accettare la Vostra eredità e la loro.
Loro mi hanno condotto sin qui per divenire il Vostro apprendista.
Loro desiderano vivere ancora negli spiriti dei loro eredi.
Ecco perchè Voi mi insegnerete."

La vecchia, ascoltato tutto il discorso di Tartacot iniziò a battere le mani in un lento applauso, assumendo un'espressione beffarda.

"E tu credi di essere il primo che viene qui con queste belle parole? Tutti credete di essere speciali, di avere qualcosa in più di quelli che ho cacciato da qui. Ma siete tutti uguali."

Concluse perentoria Sora Beorchia, ma Tartacot non si perse d'animo e con aria fiera e sicura aggiunse impudentemente.

"Ciò che ho detto io lo so, non lo credo.
Ma ditemi Sora Beorchia esiste forse una ragione per cui dovreste negarmi l'apprendistato? Io non lo credo.
Sono, anzi sicuro, che tale ragione non v'è.
Se non siete convinta, limitateVi a prendermi con Voi come aiutante di bottega, per preparare le fiale e le ampolle, per procurarVi gli ingredienti che Vi necessitano.
Io apprenderò osservando e non Vi sarò d'intralcio.
Se poi lo vorrete, potrete insegnarmi.
E poi..."

Aggiunse sorridendo ed ammiccando alla vecchia

"... il fatto che già ci sia un apprendista scoraggerà gli altri."

(il seguito a Gurgaz)

Inviato il: 16/1/2009 20:23
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Re: [Prologo] - Tartacot
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“Di certo non ti manca il dono della parola” – commenta sarcastica Beorchia – “Anche se pensi che io sia una vecchia rimbecillita e che mi faccia confondere dal fiume delle tue parole, non è così. So che non mi crederai, ma ho compreso ogni singola sillaba. In mezzo al turbine dei tuoi pensieri, tipici di un giovane ambizioso alla ricerca di un sapere più grande, hai detto un paio di cose sensate. La prima è questa: un apprendista terrà lontani gli altri apprendisti. Ricevo diverse visite ogni settimana e cominciano a seccarmi”.

La megera socchiude le palpebre ed alza lo sguardo su Tartacot, che sostiene la vista senza batter ciglio. “La seconda è la tua buona lena” – prosegue – “Qui c’è un sacco di lavoro per chi vuol darsi da fare”. E conclude la frase con un ghigno sinistro.

“Significa che accettate di prendermi con voi?” – chiede il giovane aspirante. “Proprio così” – risponde divertita Beorchia – “E starà a te giudicare se è stata una fortuna oppure no”. Tartacot cerca di non darlo a vedere, ma il suo cuore esulta nel trionfo. “Tanto per cominciare” – dice la fattucchiera con tono autoritario – “dedicati alla cucina. Voglio che tutto sia in ordine: le pentole lavate, le stoviglie pulite, il fuoco bello vivo nel camino e la minestra pronta per la cena!”

Tartacot è un po’ perplesso da quel tipo di ordini, ma continua a far buon viso a cattivo gioco. La sua nuova tutrice vuole metterlo alla prova e basterà acconsentire ai suoi voleri per conquistarsi la sua fiducia.

I giorni passano e ben presto diventano settimane. Tartacot le spende in faccende domestiche: pulizie di primavera, lavaggio di abiti e coperte incrostati di polvere e sudiciume, continui viaggi dal ruscello alla capanna, commissioni in paese, zappate nell’orto. Beorchia fa di tutto per escluderlo dalla bottega, nella quale vive asserragliata e dedita a chissà quali esperimenti. Almeno l’orto contenesse qualche erba strana! Tartacot non ne può più di aggirarsi tra cavoli e zucchine, con i quali prepara ogni sera squisite zuppe per la parca mensa di Beorchia.

Un bel giorno di sole, Tartacot decide di affrontare la vecchia. “Maestra” – dice – “quando pensate che potremo iniziare il mio apprendistato?” Sora Beorchia sputa in un piatto e comincia a raschiarlo con un artiglio appuntito, incastonato in una sede d’oro. “A che cosa ti riferisci?” – chiede distratta. “Quando mi insegnerete le vostre arti?” – replica il ragazzo.

L’unghia stride mentre traccia strani simboli nel catarro. “C’è qualcosa che non va nel tuo tirocinio?” – domanda, lo sguardo sempre perso negli oscuri meandri dell’espettorazione. “In verità, non ho ancora imparato nulla” – dice Tartacot – “Tutto quel che ho fatto nelle ultime due settimane è stato badare alla vostra casa”.

Sora Beorchia si ferma con un cigolio, abbassa il piatto sputacchiato e volge sul giovane i suoi occhi scuri e minacciosi. “E ti pare poco?” – esclama sdegnata – “Sei il primo ad avere l’onore di essere ospite della leggendaria Sora Beorchia, e vorresti pure che perdessi il mio tempo ad insegnarti. Ah, questi giovani d’oggi! Vogliono tutto e subito!”

Tartacot abbassa il capo, nel tentativo di contenere la rabbia che gli cresce dentro. “Non vi chiedo di insegnarmi” – ribatte – “solo di farmi stare qui con voi, a guardare, per qualche ora ogni giorno. Il resto della giornata mi dedicherò ai lavori che mi assegnerete. Ho già imparato molto e posso capire semplicemente osservando”.

La risata di Beorchia riempie l’oscurità delle stamberga. “Non dire sciocchezze” – sbotta – “tu non sai un bel niente”. “Non è vero” – insiste Tartacot – “so usare il pendolo e l’olio per scoprire fatture e malocchi, so come purificare o rendere tossica l’acqua, so leggere il futuro con i tarocchi ”.

“Le carte sono roba da dilettanti” – sentenzia la fattucchiera – “Lo sputo è la via. Non c’è modo migliore di conoscere il destino che cercarlo nella nostra secrezione più impura. Da quando ho imparato a vedere oltre questi grumi di muco e saliva, ho dato alle fiamme tutte le carte che avevo. Le mani degli altri non le ho potute bruciare, ma ho abbandonato anche la chiromanzia. Ora pratico solo la mixomanzia”.

Tartacot la guarda stralunato. “Devi disimparare ciò che hai imparato” – lo ammonisce con serietà – “perché sono in buona parte trucchetti buoni per le fiere. Per essere un vero Fattucchiere devi comprendere che tutto ciò che agli altri sembra brutto, spaventoso ed incomprensibile è latore di inestimabili segreti. Tutto ciò che l’uomo teme e schifa, per il Fattucchiere è il pane quotidiano, fonte inesauribile dei suoi poteri e delle sue astuzie”.

“Ora vai a preparare la minestra. Domani seminerai il radicchio e la cicoria, poi potrai entrare nella bottega e proverò a far entrare qualcosa in quella tua zucca presuntuosa”.

(Prosegue Asmodeus. Devi raccontare il tuo apprendistato assieme a Sora Beorchia. Ti farò avere (domani) via MP una lista di 10 formule base, che saranno quelle che potrai usare durante il gioco, e nel prossimo post proverai ad illustrare come la fattucchiera te le ha insegnate. Scegliene 3 o 4, tutte sono un po' tante)

Inviato il: 21/1/2009 0:09
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Re: [Prologo] - Tartacot
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Sora Beorchia e Tartacot sono nella stanza principale della casa, in mezzo a pile di oggetti bizzarri abbandonati al loro destino di incuriosire immensamente culiu che vi posi lo sguardo; lanterne per gli stolti che talvolta si vendono a prezzi interessanti per risolvere questo o quel malanno passeggero.

Tartacot è impaziente di entrare nello studio di Beorchia.
La vecchia glielo ha fatto sudare questo privilegio, ma ora finalmente potrà mettere gli occhi sulle vere arti della Fattucchiera.

Improvvisamente qualcuono bussa la porta e senza attender risposta entra nella casa di Beorchia la quale si acciglia d'un tratto.
"E tu chi saresti?" chiede rivolto a Tartacot il bizzarro pagliaccio allampanato che si staglia pieno di boria e supponenza sull'uscio.

"Capisco perchè detestassi gli apprendisti, Maestra"
commenta pacifico Tartacot il cartomante rivolto a Beorchia
"Simili buffoni, incapaci di comprendere ciò che vedono non son degni neppure di comparirti innanzi."
"Comunque." prosegue all'indirizzo dell'intruso "Io sono Tartacot il cartomante, unico degno allievo di Sora Beorchia e tu non sei nulla."
sentenzia lanciando in aria le carte e raccogliendone al volo alcune con la mano sinistra mentre le altre si depositano sul palmo teso della destra

"Non c'è dubbio, Maestra. Le carte ci dicono che la nostra attività odierna sarà funestata dalla visita di un impiastro che già molte volte è qui venuto ad annoiarti con le sue richieste"
dice Tartacot guardando appena le carte che regge nella mano sinistra prima di riporle nel mazzo.

"Come ti permetti!" interloquisce l'intruso
Io sono Alfons Rimet Godesh..." inizia a sproloquiare il giovane allampanato gesticolando in maniera scomposta e poco aggraziata mentre Tartacot ammorbidisce un po' di cera ed inizia a plasmarla in forma d'uomo ed avvicinandosi al ciarlero intruso strappa un bottone dalla sua casacca e lo inserisce nel petto del fantoccio.
"Ma cosa? Tu non mi stai ascoltando, vero." chiede il giovine di variopinti panni adorno.
"Neanche una parola di ciò che dici è per me del minimo interesse" sentenzia Tartacot traendo uno spillone dalla tasca.
"Io ho visto nel tuo futuro che uscirai da quella porta per mai più ritornare."
"Come penseresti di mandarmi fuori di qui, moccioso?" lo sfida Alfons
Tartacot abbassa lo spillone ed un lieve sorriso si dipinge sulle sue labbra
"Vado bene Maestra? Ho visto che ieri facevate una cosa del genere per quella ragazza..."

Intanto il giovane allampanato crolla a terra portando le mani all'inguine e guaendo come un cane bastonato.
"Bravo. Bravo. Non c'è male. Credi che ora l'olio galleggerebbe sull'acqua se lo ponessi in un piatto sul suo capo?"
"Affonderebbe di certo Sora Beorchia. Ed anche in fretta. Ed anche il pendolo roteerebbe velocemente."
Tartacot rimuove lo spillone dal fantoccio e l'intruso, dopo aver rifiatato freneticamente, si alza e corre via.

"Tartacot?" chiede Sora Beorchia dopo la fuga dell'intruso "Come hai fatto a predire il futuro in quel bizzarro modo?"
"Maestra, io non prendo in giro voi, quindi per favore non mi offendete. Anche se a voi le carte non piacciono, la loro presenza scenica è grande e molte volte questi trucchetti dicono il vero." il ragazzo ammicca alla vecchia e poi prosegue
"Per lo meno tutte le volte che io faccio in modo da fare avverare la mia previsione."
"Hai buon occhio e sei abile. Sei degno di vedermi all'opera seriamente. Ma non fare domande sciocche o dovrò ricredemi."
Detto ciò i due si infilano nello studio e lì rimangono fino a sera senza nessuna interruzione.

Inviato il: 30/1/2009 12:50

Ultima modifica di Asmodeus il 31/1/2009 9:24:42
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Re: [Prologo] - Tartacot
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Dopo un intero anno trascorso in compagnia di Sora Beorchia, Tartacot è divenuto piuttosto abile nelle tradizionali pratiche dei Fattucchieri. La vecchia gli ha insegnato a riconoscere le erbe officinali e quelle velenose; gli ha mostrato dove crescono e in quale stagione raccogliere quelle spontanee, così come coltivare quelle che lei stessa tiene nell’orto dietro la capanna.

Osservando la vecchia e ponendo con prudenza le giuste domande, Tartacot ha appreso alcune semplici formule e si è ben esercitato nel praticarle. Beorchia non è prodiga di complimenti nei suoi confronti, ma poiché ha sempre meno da ridire, il ragazzo è convinto di essere più che bravo. Purtroppo, Beorchia è restia a rivelargli le formule più segrete e potenti; si rifiuta anche solo di parlarne con l’apprendista e ogni volta che deve cimentarsi con esse lo manda lontano a sbrigare qualche seccante commissione.

L’unica pratica a cui la megera ha iniziato Tartacot è la meditazione, necessaria per sentire le forze spirituali della natura e trarne l’energia necessaria per gli anatemi. Se un Fattucchiere riesce a trovare questa rara e particolare intesa con gli spiriti, costoro possono consentigli di lanciare maledizioni. Beorchia gli ha spiegato che si tratta di un potere funesto, proprio per questo limitato e legato alla volontà degli spiriti. Essi non donano aiuto incondizionato al Fattucchiere, soprattutto se costui ne abusa.

Un giorno Beorchia ferma Tartacot mentre è sul punto di scagliare un anatema contro l’ennesimo seccatore. Dopo che questi se n’è andato, fulminato dallo sguardo e dalle parole della vecchia, inizia un pesante discorso. “Ma come devo fare con te?” – strilla Beorchia – “Ti ho detto più volte che il potere degli spiriti non si può scatenare indiscriminatamente. Se lo sprechi contro un’idiota qualsiasi, con tutta probabilità non ti sarà concesso mai più! Gli spiriti sono selvaggi ed agiscono per istinto, ma se cominci a lanciare maledizioni per puro divertimento rischi non solo che cessino di assisterti, ma che addirittura si rivolgano contro di te”.

Tartacot ignora il monito e dice: “Però ora sento che posso evocarli e che risponderanno al mio richiamo”. Sora Beorchia scuote la testa: “Non credere che qualche mese di meditazione ti abbia reso tutt’uno con la natura. Ora puoi al massimo scatenare fastidiosi pruriti o suscitare foruncoli molesti; non credere di incenerire gli uomini con la folgore o di colpirli con la pestilenza. Per diventare così forte dovrai meditare ogni giorno della tua vita e dosare con sapienza il tuo potere, altrimenti non ti sarà concesso nulla in più di quel che già hai”. L’apprendista si limita ad annuire, poco propenso ad ascoltare le raccomandazioni della vecchia.

L’anno è ormai prossimo al termine e da tempo Tartacot medita la fuga. Negli ultimi mesi Sora Beorchia ha preteso che l’apprendista spendesse lunghissime ore in meditazione e ha incominciato a fargli lunghi discorsi sul ruolo dei Fattucchieri nella società dei Rom, di cui sono la Casta predominante. Il ragazzo si annoia molto a sentire quelle prediche, vorrebbe piuttosto che Beorchia gli insegnasse qualche formula davvero potente, ma lei persiste nel suo metodo di insegnamento e si sbarazza di lui ogni volta che deve condurre un esperimento importante.

È deciso: domani sera Tartacot lascerà la capanna di Sora Beorchia. Lo farà di notte, mentre la sua maestra dorme, sottrarrà qualche ingrediente dal laboratorio e tornerà sulle strade, forte di nuovi poteri e conoscenze. Sa quel che gli serve per barcamenarsi e per apprendere ancora, in modo da affinare le sue doti. Del resto è giusto così; Beorchia non ha certo imparato tutto il suo sapere da un maestro. Tartacot farà lo stesso e se ne andrà in giro per il mondo, da solo o in compagnia.

(Prosegue Asmodeus Racconta la fuga di Tartacot dalla capanna, gli ingredienti che sottrai al laboratorio (lo fai in fretta, per quello non hai tutto quel che ti serve per le formule, ma solo la tua dotazione) ed immagina una ragione che possa spingerti a visitare la vicina città di Ilmona, capitale della Bramoldia (nominata quasi in tutti gli altri prologhi).

Inviato il: 31/1/2009 17:47
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Re: [Prologo] - Tartacot
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Dopo la parca cena, Tartacot si ritira nella sua stanza per meditare come sempre lo consiglia la vecchia Sora Beorchia.
"Stai leggero e medita profondamente. Lascia che la tua mente sia il sostentamento del tuo corpo. Poni il tuo carattere innanzi agli spiriti non il tuo corpo."
Già! E per così fare uno se ne deve andare a letto con la fame!
Le sue poche cose son raccolte in una sacca che riposa sotto il letto.
Avrebbe voluto preparar meglio la partenza, prender qualche ingrediente particolare sì da averlo quando dovesse servire, ma la maestra è sempre molto attenta a che tutto sia dove deve stare, pure nel marasma infernale della bottega.
Di alcune cose ve n'è abbastanza perchè lei non si accorga che qualcosa manca, ma le dovrà prendere quando partirà, che la maestra avrebbe notato che in camera del ragazzo c'era roba che non doveva starci.
In genere la vecchia sta alzata qualche ora dopo cena a leggere il futuro nello sputo o per portare innanzi misture sperimentali che non vuol condividere.
Tartacot medita...
ma medita il come e il quando e il dove andare.
Dalla dispensa può prender quel che vuole, tanto è lui che se ne occupa da quando sta qui; gl'ingredienti che può prelevar son lì pronti ad esser presi.
Manca una destinazione ed un modo per arrivare.
Rollo e sua figlia Elsa dovrebbero andare a prender merci in una città domani; ogni mese stanno via qualche giorno.
Vanno in una capitale vicina, che ricordarsi come si chiama è troppo da pretendere, ma comunque seguono la via che va a Sud-Ovest.
Se Tartacot parte di notte, loro lo incontreranno nel pomeriggio.
Son sempre stati gentili, soprattutto Elsa dalle giunoniche virtù.
Lui è vecchio e lei portebbe essere la madre di Tartacot, ma è zitella e gli chiede sempre di leggere il futuro per lei e questo o quel fusto che o è già impegnato oppure ha altri grilli per la mente.
Oramai l'ora è giunta. Tartacot ha lasciato una lettera alla Sora Beorchia nella quale dice che la Luna splende sulla punta della freccia del Sagittario e che per lui è giunta l'ora di intraprendere un nuovo viaggio, per sperimentare ed aumentare la comunione con gli spiriti della Natura. Se il Fato lo vorrà le loro strade potranno ricongiungersi e le augura di non esser tormentata da troppi aspiranti apprendisti nel futuro.
Esce silente dalla stanza per sentir il forte russare della vecchia, mette nel tascapane alcune provviste che bastino per pochi giorni e nella bisaccia un po' di cera, qualche ala di pipistrello, uno specchio, un vasetto sigillato con dentro delle interiora e poc'altro oltre un po' di danaro che aveva raccimolato grazie a servizi personali per alcuni avventori per i quali la vecchia era troppo occupata.
Con il sonno sul volto e lo stomaco che brontola, scavalca la finestra e salta giu atterrando sul sedere.
La luna piena e le stelle illuminano la figura di un uomo che sta per uscire da Vepoda dalla porta di Sud-Ovest, massaggiandosi il fianco e masticando un tozzo di pane raffermo.
Una delle guardie di piantone lo saluta mentre gli passa di fianco e lo ferma.
"Buona sera Tartacot. Scappi come un ladro dalla bottega di Sora Beorchia?"
"Buon Ionas. Lei ama la sua libertà ed io non son uso fermarmi molto nei luoghi. In ogni caso, tu non mi hai visto uscire da questa porta, intesi?" Dice il ragazzo con aria ancora assonnata.
"Daccordo. Non ti ho visto dirigerti verso Ilmona. Ma prendi questi" di ce lanciandogli una saccetta tintinnante "Ti faranno comodo e del resto non ti avevo ancora saldato per quel filtro. Sai. Ha funzionato. Credo che riuscirò a convincere anche il padre e ci sposeremo presto." Dice pieno di gioia Ionas
"Avevi forse dubbi sulle mi capacità? Certo che no. Vero Ionas? Ti ringrazio per la tua generosità e ti auguro ogni bene con Irina. Al padre, per convincerlo, parla con il cuore in mano... e una bottiglia di grappa sul tavolo." suggerisce con sorriso beffardo Tartacot
"Non mancherò. Arrivederci Tartacot." saluta la guardia
"Addio Ionas. Addio."
Il sole sorge, alle spalle di Tartacot, che avanza stancamente lungo la via maestra. Più d'una volta ha dovuto saltar fuori della strada per evitare d'esser travolto da carri o carrozze inseguiti dalla fretta dei padroni.
A mezzodì si ferma per un pasto veloce e poi riparte dopo aver riposato le membra.
Come previsto, intorno a metà pomeriggio, un carro si rallenta e si ferma poco oltre il punto in cui lui si trova.
"Tartacot." lo chiama gioiosa Elsa "Te ne vai a Ilmona? Non torni più a Vepoda? Salta sul carro e vieni con noi! Così mi dici se le cose possono funzionare tra me e Bertolo, quel nuovo orafo arrivato da Cinveza"
Ilmona! Ecco coe si chiamava quella grande città di cui gli avevano parlato.
Lì sicuramente potrà fare buoni affari grazie alle sue arti.
Un buon profitto è fonte di tranquillità e permette di approfondire gli studi e fare esperimenti.

[la parola a Gurgaz per il seguito e l'arrivo in città]

Inviato il: 2/2/2009 14:22

Ultima modifica di Asmodeus il 2/2/2009 16:40:21
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Re: [Prologo] - Tartacot
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Da Povoletto (UD)
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Il viaggio trascorre allegro e tranquillo in compagnia di Elsa e suo padre Rollo. Tartacot intrattiene i due creduli mercanti con qualche divertente trucchetto e in due diverse occasioni usa le sue carte per prevedere il futuro della prosperosa zitella. Niente di serio, naturalmente, perché Tartacot ha imparato che le proprie doti vanno serbate per quando possono toglierlo dai guai o quando c’è la concreta possibilità di battere cassa. Elsa resta affascinata dagli abili movimenti del giovane Fattucchiere e il suo volto s’illumina quando le spiega che la carta degli Amanti le porterà fortuna con quel buon partito che è Bertolo.

Giunti alla vasta e soverchiante Ilmona, Rollo, Elsa e Tartacot si separano. L’artigiano e sua figlia si recano al mercato principale, mentre il loro compagno di viaggio decide di attendere ancora un poco prima di raggiungere il centro. Ora si trova in una contrada periferica chiamata Cirrobabo, un mucchio di casupole sovrastate da vecchi palazzoni, affittati a caro prezzo a ricchi proprietari terrieri urbanizzati. Tra gli edifici si insinuano vicoli stretti e maleodoranti.

Non è un granché per viverci, pensa Tartacot, ma forse sulla piazza rionale si può trovare qualche cliente a cui vendere i propri servigi, o semplicemente dei gonzi da spennare. Le ricerche lo portano ad uno spiazzo allungato in mezzo agli edifici, il largo di Cirrobabo, nucleo vitale del quartiere. Il ragazzo cerca dove sistemarsi e trova un cantuccio sgombro a lato di un fruttivendolo. Stende il mantello sull’acciottolato, vi si accomoda, ed inizia con tutta calma a mescolare i tarocchi.

Pare che a Cirrobabo nessuno abbia voglia di farsi prevedere il futuro. Gli Ilmonesi sono tutti certi di avere in pugno il proprio destino e passano indifferenti davanti al Fattucchiere. Occorre escogitare qualcosa di diverso che attragga attenzione e denaro, almeno per tirare avanti i prossimi giorni. Tartacot estrae tre carte dal proprio mazzo e le mette a faccia in giù sul mantello. “Gli uomini perdono, la donna vince” – dice a gran voce, mentre le sue mani corrono rapide e scambiano di posizione le carte. “Fate il vostro gioco signori. Gli uomini perdono” – e mostra le carte dell’Imperatore e dell’Appeso – “La donna vince” - e all’unisono alza la carta della Papessa.

Un commerciante si avvicina interessato. In silenzio studia le mosse di Tartacot e alla fine si decide a puntare. Allunga un ceo di bronzo e lo mette sulla carta di sinistra. Tartacot sorride e gliela mostra. È l’Appeso. L’uomo borbotta qualcosa e scuote la testa, ma resta a guardare il Fattucchiere che riprende i suoi movimenti. “Gli uomini perdono, la donna vince” – continua a cantilenare – “L’occhio è veloce, ma la mano inganna. Puntate prego”.

Dietro il suo primo cliente spuntano le teste di due rozzi bifolchi, evidentemente ansiosi di scialare il denaro guadagnato dalla vendita dei loro prodotti. Dopo che il commerciante ha perso ancora, i contadini tentano di mettere in difficoltà Tartacot con due puntate da dieci cei, ma il ragazzo non perde la calma e si intasca anche i loro quattrini. In breve un piccolo assembramento si crea attorno al Fattucchiere e la pila di cei in suo possesso cresce a vista d’occhio.

D’un tratto uno stivale chiodato appare e si posa sulla carta centrale, rischiando di schiacciare le abili mani di Tartacot. Appartiene ad un guerriero in cotta di maglia dall’aspetto severo, con al collo una croce tau intagliata in legno d’olivo. Lo sguardo ostile non lascia dubbi: è un Cavaliere della Fede. “Qui c’è l’eretica Papessa” – afferma solennemente, senza neanche tirar fuori il denaro per la puntata. Il ragazzo finge preoccupazione, ma poi scopre la carta dell’Imperatore. Il Cavaliere è indignato, si china per esaminare le altre due carte e le getta in terra rabbioso, poiché anche stavolta tutto appare regolare.

L’uomo si allontana senza dir nulla, tra la disapprovazione dei presenti. Tartacot recupera i tarocchi e si prepara a ricominciare, ma quando cerca la sua borsa da viaggio non la trova. Allarmato si guarda intorno e scorge la borsa poco più in là, dove un grosso gatto nero l’ha trascinata e vi sta rovistando dentro col muso. “Brutto furfante!” – gli grida Tartacot e gli si muove incontro, ma quello se ne accorge e fugge a quattro gambe levate. Il Fattucchiere controlla che tutto sia al suo posto, ma qualcosa manca: il gatto si è pigliato un’ala di pipistrello di quelle sottratte a Sora Beorchia.

Seccato per l’inconveniente, Tartacot torna al suo posto dove la gente lo attende, desiderosa di puntare ancora. Qualcosa però non funziona e Tartacot sbaglia un paio di mosse, che permettono ai giocatori di vincere buona parte dei cei raccolti. È tutta colpa del dannato gattaccio, che gli ha tolto fortuna e concentrazione. Dopo circa un’ora gli sono rimasti solo i soldi per comprarsi mezzo pondo di gallette.

Mentre sgranocchia il suo povero pasto, Tartacot spazia con lo sguardo ed intravede un bel gatto nero, tale e quale a quello che lo ha “rapinato”. Non si tratta di un vero felino, bensì dell’insegna di una taverna. Tartacot crede alle coincidenze; chi è abituato a leggere il futuro sa che certi eventi non sono casuali. Incuriosito e speranzoso, il giovane si dirige verso l’ingresso della Taverna.

Inviato il: 7/2/2009 13:26
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