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GAMER --- di Mark Neveldine & Brian Taylor
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Da Povoletto (UD)
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Ignaro delle precedenti esperienze cinematografiche del duo Neveldine/Taylor, ma ispirato dalle esplicite analogie con L’implacabile (the Running Man), che considero un film assai intrigante, mi sono recato in sala cinematografica senza vere e proprie attese, solo con la flebile speranza di divertirmi e nel contempo trovare un po’ di sana critica sociale. Non sono rimasto deluso, soltanto perplesso da scelte tecniche e sceniche infelici, che rovinano una pellicola potenzialmente efficace e fresca.

“Alcuni anni da questo esatto momento” (così si apre la vicenda) la Terra è permeata dalle tecnologie wireless e dallo strapotere dei media, ormai a briglia sciolta ed autentiche bandiere del cattivo gusto. Il cult del momento è un sensazionale gioco dall’evocativo nome di Slayers, una via di mezzo tra videogame e reality, in cui dei condannati a morte si affrontano in sanguinose battaglie. Tramite l’impianto di avveniristiche “nanocellule”, che rimpiazzano più che adeguatamente i neuroni, i guerrieri sono controllati via etere dai giocatori online, perlopiù figli di papà viziati e sfaccendati. L’eroe di Slayers è Kable (Gerald Butler), uomo dal passato oscuro che per qualche strana ragione sembra rispondere molto bene agli stimoli di Simon (Logan Lerman), il ragazzo che lo controlla. Sebbene gli manchino solo poche battaglie per ottenere la libertà, la comparsa del minaccioso Hackman (Terry Crews) rivela il preciso intento di levar di mezzo Kable prima che ce la faccia. L’indomito combattente ha un piano: fuggire dal gioco e scovare Ken Castle (Michael C.Hall), il folle ideatore di Slayers e del reality game Society, una specie di The Sims con persone vere, in cui le perversioni sessuali la fanno da padrone e dove lavora sua moglie Angie (Amber Valletta). Per fuggire gli serve la complicità di Simon e la ottiene grazie all’aiuto degli Humanz, un gruppo di hacker che si oppone al potere mediatico di Castle, e della conduttrice tv Gina Parker Smith (Kyra Sedgwick).

La trama è articolata e riserva alcune sorprese, pertanto non è facile gestirla nei tempi del film, visto che un certo spazio va riservato all’azione fine a se stessa. La critica sociale di Gamer è chiara e per molti versi condivisibile: ipotizza la degenerazione dell’essere umano a causa delle tecnologie digitali, dell’abuso di avatar, social network, videogame e realtà alternative, divenute surrogati essenziali della vita vera. Risulta particolarmente agghiacciante il gioco Society, un’orgia pornografica in cui utenti obesi e depravati danno sfogo alle loro fantasie utilizzando il corpo di altri esseri umani da loro controllati. Slayers è l’altra faccia della medaglia e rappresenta l’assuefazione alla violenza vista da lontano, a cui la gente si sta gradualmente abituando. C’è cattivo gusto, crudezza, brutalità e follia nelle scene rappresentate, ma è un’iperbole che coglie nel segno. Se non diventeremo proprio così perversi ed insensibili, potremmo arrivarci molto vicino.

Gamer dovrebbe essere anzitutto un action movie ed è proprio questo l’aspetto che presenta cruciali ed inopportune carenze. Non sto denunciando una mancanza di quantità, poiché le sequenze non mancano e il ritmo del film è palpitante; è la qualità a venir meno, o meglio, una sapiente gestione delle risorse. Gli effetti speciali sono gettati al vento a causa di un montaggio e di una ripresa sconsiderati, che tagliano e ricuciono le scene d’azione privandole degli elementi necessari alla comprensione. Forse negli ultimi anni il sistema visivo umano ha subito mutazioni che non mi hanno interessato, fatto sta non riesco fisicamente a seguire scene così convulse, spezzate, frammentarie, in cui è impossibile distinguere i particolari dall’insieme. Si abusa della telecamera in prima persona, che sobbalza e svolazza fino a generare un senso di vertigine. Da una simile prospettiva, comune nei videogiochi ma assai fastidiosa sul grande schermo, la visione del film è difficile, faticosa e a tratti improponibile.

A nulla vale la recitazione generalmente buona, perfino del monolitico Butler che non deve far altro che sembrare lacerato interiormente od infuriato a seconda dei casi. Ci sono un sacco di altri attori validi, alcuni sottoutilizzati come John Leguizamo, ma il loro lavoro passa in secondo piano perché la produzione rende tutto così indigesto. È un vero peccato, perché la denuncia sociale e la rilettura in chiave moderna delle tematiche di The Running Man non sono disprezzabili, a meno che non si voglia rispolverare un moralismo di maniera. Ciò che lascia amareggiati in certe opere cinematografiche è lo spreco di buone idee e del lavoro di tanti, che viene annullato da pochi madornali errori. Non so da cosa dipende, forse dalla limitata conoscenza del passato da parte di registi e sceneggiatori; storicamente i film si sono prodotti con pochi soldi e tanta arte, mentre ora la bilancia si è invertita e questo è il risultato.

Voto di gradimento: 6
Voto critico: **

Inviato il: 11/4/2010 13:13
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