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Il prologo del mio libro
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Come preannunciato, ho deciso di pubblicare sul forum l'introduzione del mio romanzo, che per il momento conserva il titolo originale del 1997, cioè Sfida agli Dei. Sicuramente esiste già un romanzo con un titolo simile od uguale.

Lo sottopongo all'attenzione degli utenti perché mi interessa avere un riscontro. In particolare, vorrei che rispondeste alle seguenti domande:

1) Questa introduzione vi fa venire voglia di leggere il romanzo?
2) Come vi pare il mio stile di scrittura, decisamente diverso da quello tradizionalmente usato nel genere fantasy (non so se il mio libro, alla fine, potrà essere giudicato tale)?
3) C'è qualcosa che vi è piaciuto in particolare, oppure qualcosa che vi risulta sgradito fin da subito?

Siccome il testo è lungo, vi permetto di scaricarlo se non volete leggerlo dal forum.

Allega:


zip Introduzione.zip Dimensione: 13.88 KB; Letture: 232

Inviato il: 6/11/2006 11:55
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Re: Il prologo del mio libro
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INTRODUZIONE

ALLE ORIGINI DEL MONDO...

In un remoto passato, quando l’uomo non esisteva nemmeno nei sogni degli dei, quando il tempo non aveva significato perché il mondo non era ancora stato plasmato, allora regnava il Nulla. Questo non era né caotico, né ordinato, semplicemente si limitava a non essere. Non c’era bisogno di nessun essere vivente, quale l’uomo o gli animali, perché gli dei vivevano in pace nel Piano Esterno, chiamato Ehtel Kirion, che significa “concordia degli dei”.

Questa beatitudine era destinata a non durare in eterno; gli dei, turbati dall’immobilità in cui le loro sostanze permanevano, cominciarono ad interessarsi al Nulla, chiedendosi se fosse possibile trasformarlo in qualcosa che fosse meno statico e più allettante dell’Ehtel Kirion. I più potenti tra di loro si misero all’opera, dando forma e sostanza alla materia amorfa, ciascuno secondo il proprio intelletto. Il Nulla assunse una consistenza tangibile, fu riempito di ogni sorta di oggetti, che ad occhi umani sarebbero apparsi meravigliosi od orribili, mentre per gli dei erano tutti oggetti buoni, graditi alla loro vista.

Alvan il Raggiante colmò il Nulla di una sostanza leggera e volatile, l’Aria, in cui le divinità intente a creare poterono librarsi. Giunse quindi Xevinia l’Artigiana, che fece notare al dio: -“È bello cavalcare l’aria che la tua mente ha prodotto, ma per me e per gli dei desidero un seggio stabile, dal quale poter contemplare la nostra opera”. Xevinia contrappose all’aria di Alvan una materia solida e possente, la Terra, che fissò al centro del nuovo mondo e modellò a forma di sfera.

Alvan fu contrariato dall’opera della dea, poiché giudicava la Terra un turpe elemento. -“In queste tenebre impenetrabili il tuo trono è tetro e non somiglia proprio alla sede di un sovrano, o Artigiana” – disse Alvan – “Lascia che lo renda luminoso ed ingioiellato, come lo sono i nostri scranni nell’Ehtel Kirion”. Alvan chiamò presso di sé il figlio Orios l’Ardente, invitandolo a prendere parte alla creazione. Orios adornò il trono di Xevinia con torrenti e fontane di Fuoco, facendolo splendere nel buio primordiale come una torcia.

Xevinia non gradì questo intervento. -“Davvero Orios ha creato qualcosa di mirabile, ma non è certo in questo tripudio di luci e colori che potremo presiedere con chiarezza alla creazione. Permettetemi di riportare un po’ di quiete”. La dea convocò il figlio Vengal il Gelido, che rovesciò sulla Terra una cascata di materia nuova, l’Acqua, che soffocò i fuochi di Orios e li sospinse nelle profondità della Terra, ripristinando l’oscurità.

Orios proruppe: -“Così dunque sono ricompensati i miei sforzi? Di così scarsa fattura erano le gemme con cui ho adornato il tuo trono, o Artigiana? Tuo figlio ha rigettato il cosmo nel buio e nel freddo, celando ancora una volta il nostro lavoro. Mi ricorderò di questo affronto: il Fuoco che avete imprigionato non si spegnerà, ma acquisterà sempre più vigore, finché le fondamenta della Terra e i bacini dell’Acqua non potranno più contenerlo. Quando questo avverrà, tremerà la Terra e si scuoterà l’Acqua, in memoria dell’offesa ad Orios l’Ardente”.

Alvan si accostò al figlio: -“Ho ancora bisogno del tuo aiuto, mio diletto. Questa tenebra non giova alla creazione; appicca il tuo Fuoco a questo braciere dorato che ho costruito, affinché irradi la luce che ci serve”. Orios acconsentì e Alvan appese il suo braciere alla volta celeste, inondando il neonato cosmo di Luce. Alvan disse: -“Ecco, io vi dono la Luce e il suo braciere, che voglio chiamare Sole. Mirate ora, o dei, la nostra opera e prendetevi parte, ciascuno secondo le sue intenzioni”.
I figli minori di Alvan, Narya la Verde e Beilon il Pastore, scesero sulla Terra ed osservarono che poteva diventare una dimora per esseri viventi, la cui genesi era il loro scopo recondito. La Terra primordiale era però ostile alle creature di Narya e Beilon, perché seguiva il volere di Xevinia, che non l’aveva formata per ospitarvi altri esseri all’infuori degli dei. Anche l’Acqua si opponeva ai tentativi dei figli di Alvan, poiché Vengal desiderava mantenere il suo dominio mondo dalle creature inferiori.

Narya e Beilon si rivolsero al fratello maggiore, Pletos il Legislatore, per ricevere un consiglio. Questi proferì: -“Non è possibile continuare in questo modo. Ciascuna divinità ha il diritto di agire sul Nulla e riempirlo come meglio crede. Xevinia e Vengal non possono considerare di loro proprietà la Terra e l’Acqua, ma devono permettere agli altri di usufruirne per il bene comune”. Tutti ascoltarono le sagge parole di Pletos e furono d’accordo, ma Xevinia e Vengal si sentirono defraudati e covarono progetti di vendetta.

Vengal si rivolse a suo fratello Draaken il Cupo, che era ancora rimasto inattivo nell’Ehtel Kirion. Gli disse: -“Fratello, poco ti curi dei soprusi perpetrati contro i tuoi congiunti, laggiù. Davvero non hai interesse a lasciare un tuo segno in questa creazione?”. Draaken sogghignò e rispose: -“Sai bene che la mia mente non è capace di concepire nulla di nuovo, non sa creare, solo distruggere. Se mi chiamano il Cupo è perché non prendo parte ai discorsi e ai progetti degli altri dei. Non m’interessano e li trovo inutili”. Vengal guardò il fratello dritto negli occhi: -“Ebbene, se non sei capace di creare nulla, offrimi il tuo aiuto per distruggere. I figli di Alvan stanno riempiendo il materno trono di Terra e il mio limpido tappeto di Acqua con ogni sorta di parassiti. Creature piccole, di forme sgraziate, sciocchi pupazzi per i giochi di Narya e Beilon”. Draaken pareva acquistare interesse, così Vengal proseguì: -“Non possiamo semplicemente distruggerli; Pletos e Alvan ce lo proibirebbero. Rispetteremo le regole e considereremo queste creature al pari delle nostre opere. Tu puoi renderle caduche e mortali, destinandole ad una vita finita”. Draaken annuì, ma osservò: -“È ragionevole quanto dici, tuttavia sarei da solo contro molti dei”. Vengal disse: -“Allora chiederò a nostro padre Lotan di intervenire”.

Lotan aveva già da tempo valutato se e quando intervenire nella creazione. Secondo il suo giudizio, la famiglia di Alvan aveva preso in mano la situazione, imponendo la sua visione del mondo. Sua moglie Xevinia e suo figlio Vengal avevano cercato di opporsi, ma senza successo. Quando Vengal lo interpellò, Lotan aveva già deciso cosa fare, l’unico atto che avrebbe permesso alla sua stirpe di riaffermare il proprio potere.

Lotan si portò di nascosto nei pressi del Sole. Osservò per un istante lo splendore del braciere di Alvan, poi lo coprì con una densa coltre di Tenebre. Il cosmo piombò nell’oscurità, le creature furono disorientate e persero di vista i loro signori, Narya e Beilon. Draaken si accostò alla Terra e all’Acqua e sfiorò tutte le creature dei figli di Alvan, che furono destinate a spegnersi lentamente, perché il tocco di Draaken è portatore di Morte. Il vile atto di Lotan fece fremere d’ira Alvan e la sua famiglia. Orios cercò Draaken perché rendesse conto della corruzione arrecata alle meravigliose opere dei fratelli minori. Trovò invece Khazor il Guerriero, figlio maggiore di Lotan, un dio che amava fomentare conflitti. Khazor derise Orios e lo affrontò in un duello che fece tremare il cosmo intero. Ci fu grande scompiglio nell’Ehtel Kirion e anche gli altri dei presero ad azzuffarsi tra loro.

Solo la saggezza di Pletos pose fine a quello scontro senza vincenti. Egli fece notare che gli dei si stavano combattendo tra loro, cosa mai accaduta finché i loro intelletti erano rimasti confinati nell’Ehtel Kirion. -“Questo nuovo cosmo non è stato creato perché gli dei abbiano cagione di scontrarsi. Deponiamo le armi e riuniamoci in consiglio. Con la riflessione e il dibattito troveremo la soluzione ai nostri dissidi”. Gli dei si sedettero attorno ad un unico tavolo, mentre il mondo attendeva ansioso, abbandonato alla tetraggine. Ciascuno espose le sue ragioni e i suoi progetti, mentre gli altri ascoltavano pazientemente. I sacri numi potevano vantare eguale potenza e perciò ciascuno desiderava realizzare la propria visione, anche quando era inconciliabile con le altre. Da questa constatazione, si concluse che gli dei erano entrati in un conflitto irresolubile. Fu l’inizio della Guerra Cosmica degli dei, una contesa che dura da talmente tanto che gli uomini non possono nemmeno concepirne il principio.

Si formarono due fazioni, corrispondenti alle famiglie di Alvan e di Lotan: la prima aspirava ad un cosmo luminoso, dominato dalla bellezza e dall’ordine; la seconda, invece, sperava di sprofondarlo in un buio eterno, dove regnassero il disordine e l’abiezione. Fino ad allora l’opposizione tra le due famiglie aveva portato alla reciproca vanificazione degli sforzi, generando un cosmo che non soddisfaceva nessuno.

Alvan prese la parola: -“Mi rivolgo a tutti voi, divini fratelli. Abbiamo visto che nessuno può prevalere, finché combattiamo tra di noi. Dobbiamo perciò dare delle regole alla creazione, stabilite di comune accordo, di modo che nessuno abbia di che lamentarsi. Se una sfida ci deve essere, che almeno si stabiliscano le leggi che la governano”.

Lotan ribatté: -“Le regole non hanno mai incontrato il mio gusto, o Raggiante, poiché credo che tutto si governi da solo nel modo migliore. Tuttavia sono d’accordo sul fatto che i miei figli e i tuoi debbano smettere di litigare. Non hanno scopo nell’azzuffarsi, gli dei. Ascoltate la mia proposta: lo scontro è iniziato fin da quando si è scelto di colmare il Nulla. Ciascuna divinità apportava il suo contributo, colpendo indiscriminatamente le creazioni degli altri. Quando si è deciso di portare lo scontro qui, nell’Ehtel Kirion, la guerra esisteva già nel mondo senza nome che abbiamo plasmato. Io propongo di continuare la nostra sfida laggiù, fino a che le nostre idee non si saranno esaurite”.

Gli dei approvarono la proposta di Lotan. Dopo aver intaccato la pace senza tempo dell’Ehtel Kirion, i numi erano ansiosi di riportare la placidità delle ere passate. Così si trasferirono nel mondo creato e ripresero a dar forma alle loro idee. Il mondo che uscì da questa sfida demiurgica fu un insieme globalmente caotico, ma governato da alcune leggi che dettavano l’equilibrio tra l’operato dei due intenti divini.

Il primo pensiero di Alvan fu di scoprire il braciere, per permettere ai figli di osservare con più chiarezza le loro opere. Proprio in quel momento gli si fece incontro Lotan, che non era d’accordo: -“Non puoi semplicemente scoprire il Sole, o Raggiante. Non intendo permetterlo, perché i miei figli non lo gradiscono”. Rispose Alvan: -“Vuoi dunque che lottiamo qui, sul tetto del mondo, infido Oscuratore? ”. -“No, non dobbiamo lottare” – replicò Lotan – “Possiamo accordarci. Non sei tu colui che ama le norme e i patti? Ebbene, facciamo sì che in questo cosmo il tempo non sia indefinito, come nell’Ehtel Kirion, ma suddividiamolo equamente secondo le nostre esigenze. A questo scopo utilizzeremo proprio il Sole che tu hai creato e il drappo che io ho posto su di esso”. Il tempo fu così diviso in momenti di luce, detti giorni, in cui il potere della famiglia di Alvan era massimo, e momenti di tenebra, detti notti, dominate dalla progenie di Lotan.

Narya la Verde osservò che le sue creature, nate sotto il Sole, di notte diventavano nere e lugubri, i fiori si chiudevano e i virgulti rinunciavano a crescere. Beilon il Pastore si rese conto che il buio rendeva gli esseri viventi inquieti, paurosi e disperati. I due figli interpellarono la madre Sharai, nella ricerca di un palliativo, di un piccolo rimedio che permettesse la sopravvivenza della vita anche nella tenebra. Sharai provò compassione per la tristezza dei figli e decise di aiutare le creature che essi avevano generato: donò un suo occhio e lo pose nel cielo notturno. Esso emetteva una luce grigia, povera, ma era un faro di speranza acceso per le creature viventi. L’Occhio di Sharai, la Luna, si apre e si chiude periodicamente, lasciando fuoriuscire le piccole Lacrime d’argento della dea, le Stelle, che diventano più numerose e visibili quando l’occhio si serra. Forti del sostegno di Sharai, molte creature viventi si adattarono alla vita notturna e trassero vantaggio da essa.

Col tempo alcuni figli di Lotan acquisirono interesse per le creature viventi e vi instillarono esigenze e sentimenti nuovi: Vengal e Khazor spinsero gli esseri a desiderare il predominio e il benessere, insegnando come acquisirli a spese delle altre creature e dei propri simili. Per ere gli esseri viventi nacquero e morirono, perfettamente integrati in questo cosmo ancipite, legandosi alle divinità del giorno o a quelle della notte.

La Guerra Cosmica degli dei pareva giunta alla stasi. Nessuna divinità trovava motivo di competizione con le altre, poiché il mondo aveva raggiunto un equilibrio che nemmeno gli dei avevano pronosticato. Perplesso da questa situazione inaspettata, Alvan convocò un nuovo consiglio divino.

Il dio prese la parola: -“Fratelli, ho convocato questo consiglio perché la situazione che si è creata nel mondo immanente è ormai fuori del nostro controllo. Ciascuno si è attenuto con piena responsabilità alle decisioni della precedente assemblea, ma davanti ai nostri occhi abbiamo un cosmo che ha una vita propria e procede per la sua strada, mostrando di non avere bisogno di noi”.

La prima a rispondere fu Xevinia l’Artigiana: -“Raggiante, la verità è che la creazione è finita e non c’è più necessità del nostro intervento. Questo è il risultato della nostra guerra. Un mondo che non ha consapevolezza dei suoi creatori, che non ha gratitudine, che non ha più nulla da offrire. Io ho posto le fondamenta della Terra, sulla quale i tuoi figli e i miei si sono sollazzati con le creature viventi. Per questo mi chiamate Artigiana. Ora, io propongo di tornare indietro, di svuotare il cosmo e di tornare al Nulla. Ricominciate poi a riempirlo, se ne avete il desiderio. Non vedo altro scopo nel mondo senza nome che sta laggiù”.

Udite queste dure parole, Narya la Verde si alzò in piedi e proferì: -“Comprendo il tuo disinteresse per le creature mie e di mio fratello, ma se solo avessi provato a creare qualcosa di vivo, qualcosa che serba un germoglio del tuo intelletto, allora saresti di altro avviso. Se il consiglio deciderà di precipitare tutto nel Nulla io mi adeguerò; ma il mio diletto sta nella vita e nelle piante che ho creato, come quello di mio fratello Beilon sta nell’accudire i suoi animali. I tuoi parenti hanno fatto di tutto per corrompere i frutti del nostro lavoro: Draaken li ha maledetti con la morte, Lotan li ha annegati nelle tenebre e Khazor e Vengal li hanno spinti a combattersi per la supremazia; ciononostante essi sono sopravvissuti e continuano a nascere e a moltiplicarsi”.

A queste parole, i figli di Alvan presero ad accusare i figli di Lotan di aver rovinato l’intera creazione. Questi negarono ogni colpa, perché tutto si era svolto secondo le regole decise di comune accordo e non vi era ragione di protestare. L’alterco sarebbe proseguito all’infinito, se non avesse preso la parola Mavris, figlia minore di Lotan, che non aveva avuto parte nella creazione. La giovane dea disse: -“Ascoltatemi, fratelli. Non mi sono mai intromessa nei vostri discorsi perché non ho voluto partecipare all’opera cosmica. Vedo però che avete bisogno di un consiglio, di un rimedio che solo un interlocutore imparziale può offrirvi. Ebbene, siccome siete insoddisfatti perché le vostre creature non si curano più di voi, unite le vostre forze per dare vita ad esseri che vi rispettino, vi temano e vi ascoltino. Per evitare altre polemiche su paternità e corruzione di queste creature, foggiatele di comune accordo. Ciascuno di voi ponga in loro parte di sé, così nessuno le percepirà estranee”.
Gli dei tacquero e rifletterono sulla geniale proposta di Mavris. Pletos il Legislatore rispose: -“Credevo di possedere il dono del giudizio, ma in questo frangente la giovane Mavris mi ha messo in ombra. Sì, questa è la soluzione, genitori e fratelli. Creiamo una stirpe che segua i nostri dettami, che abbia a cuore le nostre cause, che ci renda culto e che ci riempia di gioia ed orgoglio”.

Vengal il Gelido sorrise ed aggiunse: -“Così sia. Ricordate, onorati fratelli, che i nostri dissapori sono tutt’altro che dimenticati. Siamo destinati a scontrarci ancora, finché questo mondo esiste. Questa progenie divina sarà lo strumento con cui dirimeremo le nostre contese. Poiché nessuno potrà dirsi unico padre di queste creature, nessuno si sentirà danneggiato se moriranno, se saranno corrotte o se soffriranno per le nostre dispute. Anzi, esse saranno il mezzo per salvare noi dagli scontri diretti, o dall’eterna immobilità”.

-“In quest’opera avrete bisogno di me” – disse Mavris la Dotta – “perché io posso donare a questa discendenza la sete di conoscenza e il senno per concepire l’esistenza degli dei, senza i quali essa sarebbe come le piante della Verde o le bestie del Pastore”.

I due schieramenti ultraterreni unirono le loro forze per creare una razza che soddisfacesse il gusto di entrambi: essa era bella, amorevole, serena, ma allo stesso tempo era capace di malvagità, odio, distruzione, grazie alla sua superiore intelligenza.

Gli dei avevano creato l’uomo. Pur possedendo il senno di Mavris, questa razza visse per secoli come le altre bestie della terra, imparando a lottare per la vita secondo le intenzioni di Khazor. Dopo tremila anni gli dei apparvero ad alcuni uomini e li resero partecipi del mistero della creazione. Questi riconobbero subito i loro artefici, ma non seppero quale fazione ringraziare. Chiamarono dei della Luce quelli che regnavano sul giorno, dei della Tenebra i signori della notte. Fin dall’alba della razza, gli uomini vissero con profonda passione lo scontro oltremondano tra divinità. Si divisero tra adoratori della Luce e della Tenebra, combattendosi senza sapere che i loro artefici erano sia i Lucenti sia gli Oscuri. Gli dei erano soddisfatti della loro creazione: ora possedevano una scacchiera su cui giocare e alleviare il tedio dell’eternità. Pur potendo spostarsi dall’Ehtel Kirion alla terra immanente, giurarono di non scontrarsi mai di persona: sarebbero stati gli uomini i loro pezzi da gioco, in una partita che avrebbe decretato quale stirpe divina era più degna di regnare sul mondo.

La guerra tra Luce e Tenebra divise l’umanità per quattromila anni, senza che alcun evento riuscisse a rompere l’equilibrio tra le fazioni. Gli uomini avevano finito col legarsi saldamente a questa lotta tra fedi, divenendo col tempo incapaci di elevare una alla massima potenza. Intere dinastie furono annientate, eppure il conflitto fratricida continuò a lungo senza esito, nella prospettiva dell’improbabile vittoria di un partito, che tardava ad arrivare.

Ma ci fu un uomo che osò sfidare gli dei e porre fine alla Guerra Cosmica. Caro sia alla Luce sia alle Tenebre, egli si comportò come nessuno prima di lui, sconcertando mortali e immortali, conquistando la libertà della sua razza e la propria dannazione.

Questa è la storia di Irian di Samiz, Gran Sacerdote della Luce e delle Tenebre, della sua sfida alle tradizioni dell’uomo e alle leggi dei numi, della sua travagliata impresa salvifica e della sua tragica conclusione.

Inviato il: 6/11/2006 12:01
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Re: Il prologo del mio libro
Supremo Maestro
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Eccomi qua, letta l'introduzione.
Allora devo dire che è scritta molto bene, mi piace lo stile. Di fatto fino alle ultime righe non avevo ancora capito il romanzo su cosa sarebbe andato a parare, ma è giusto così, perchè questa è l'introduzione, il background.

Interessante, l'unico appunto che mi sento di darti è che ci sono veramente tanti dei e non è facile riuscire ad apprendere bene subito la configurazione (tra fratelli, cugini, figli e controfigli ) ma verso la fine dell'introduzione diviene un po' piu' chiaro.

Infine direi che sebbene la storia dei dèi del male e del bene in conflitto e la terra unico luogo di svago non sia originale devo dire che lo diventa questa sfida fatta a *tutti* gli dèi da un singolo uomo.
Questo mi lascia con la curiosità effettiva di capire come può un singolo piccolo uomo a poter fare una cosa così impensabile!

Complimenti Gurgaz...ma il romanzo lo hai già finito? lo pubblicherai? hai un editore?
ciao!

Inviato il: 6/11/2006 17:39
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Possano la dea Ishir e il dio Kai guidarmi in questo nuovo mondo....
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Re: Il prologo del mio libro
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Grazie del commento. E' la prima volta che qualcuno mi dà un parere su un frammento del mio libro.

Utile l'osservazione sul caos generato dai numerosi dei, le cui identità mi paiono ovvie fin dal momento in cui le ho pensate, ma che ad un lettore esterno possono apparire confuse. Diciamo che leggendo il libro vengono un po' alla volta a svilupparsi le varie identità e, soprattutto, gli aspetti del culto. Adesso è tutto molto astratto e classico nel suo svolgimento; la "creatio ex nihilo" del mondo ha un sapore vagamente tolkieniano (vagamente?).

Il romanzo è ben lontano dall'essere finito. Sebbene siano oltre dieci anni che è stato iniziato, l'ho ripreso seriamente in mano da 2 anni soltanto e ne ho riscritte parti intere, tra cui la stessa introduzione, che originariamente era di 2 pagine. Sono circa a pagina 170, capitolo 12. Pertanto, non è finito, non è il caso di cercare editori e la pubblicazione è qualcosa di remoto. Tuttavia non mi chiamo Christopher Paolini e credo che sia meglio scrivere un romanzo unico, possibilmente maturo e completo, piuttosto che sfornare mattoni che consumano un sacco di carta.

Attendo altri giudizi.

Inviato il: 6/11/2006 20:18
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Di idee morali non ce ne son più, oggi; e quel ch’è peggio, pare che non ne siano mai esistite. Sono scomparse, inghiottite sin nei loro più piccoli significati... Da L'adolescente di F.Dostoevskij
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Re: Il prologo del mio libro
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Ottimo.

La lunga introduzione cosmogonica non mi crea grossi problemi in quanto corrisponde più o meno a quanto mi piace leggere e studiare.
Più o meno ogni tradizione letteraria e/o ogni cultura ha il proprio mito della creazione, quindi non lo vedo come esperessamente Tolkieniano.
L'impronta di mastro J.R.R. si nota in quanto anch'egli al momento di comporre i suoi capolavori ha attinto a piene mani dalla mitologia norrena. Anzi,il termine corretto sarebbe "scopiazzato", ma è pericoloso dirlo in giro, si rischia di venire assaliti da un 'orda di nerds...
Lo trovo un espediente ormai consueto nell'ambito della fantasy, che tende spesso a ricreare sistemi culturali completi di miti, leggende e religioni, in cui le origini del creato hanno sempre una parte centrale.
Nel tuo caso, trovo il "consiglio degli dei" più di ascendenza classica.
Sono curioso di vedere come prosegue la vicenda, perchè le ultime righe fanno preagire uno svolgimento della trama molto interessante e delle tematiche ben più mature e lontane dai clichè della fantasy da "folk tale pompata".

Inviato il: 7/11/2006 21:35
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Re: Il prologo del mio libro
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Ti ringrazio per il tuo giudizio, Federico.

Quando avevo 16 anni desideravo un libro che non indugiasse troppo nelle descrizioni; lo preferivo scarno ed essenziale. Poi cogli anni ho cambiato idea: ho inserito molti paragrafi nei primi 6 capitoli e ho riscritto completamente l'introduzione.

Questa cosmogonia non è particolarmente utile ai fini della trama del libro; più che altro si tratta di un'infiorettatura, di un esercizio letterario volto a creare qualche immagine suggestiva. L'unica funzione che può avere è la rapida rassegna degli dei, che poi compariranno in maniera più o meno massiccia nella trama.

Poi c'è l'intento allegorico del mio romanzo, che vorrebbe utilizzare codesti "dei" come specchio di due diverse ed attualissime scuole di pensiero umane, contrapposte ma non classificabili come "buone" o "cattive".

Gli dei della Luce e la società di Samiz (si noti gli omaggi a Dever nel nome del protagonista e della sua città) sono dominati dal senso del dovere, dal perbenismo, dall'idea che il lavoro e il sacrificio nobilita l'uomo; tutto questo porta però alla mortificazione di se stessi e degli altri, all'intolleranza e alla pericolosa convinzione che ogni mezzo è lecito, pur di affermare i propri valori.

Gli dei della Tenebra e i loro seguaci sono legati ai beni materiali, all'edonismo, all'istinto di sopravvivenza, al sotterfugio; la loro società è meno affetta da inibizioni morali e in sostanza più "libera", tanto che alcune scienze vi fioriscono, mentre a Samiz sono soffocate dal pregiudizio e dal misoneismo.

Vedete come i due schieramenti non si possano contrapporre secondo il classico concetto di bene-male. Entrambi sono complessi e caratterizzati dalla compresenza di bene e male, come la vera società umana. Infatti, una delle cose che mi delude molto del fantasy classico è proprio il desiderio di "evadere" a tutti i costi dalla realtà, adottando schemi semplificati di pensiero.

Il mio romanzo, se mai terminerà, vuole essere una riflessione profonda su un problema attuale, "mascherata" tramite l'utilizzo di un'ambientazione fantasy, solo che non c'è magia ma un mondo permeato dalla religione e dal potere divino, che però si autoregola in modo rigido. Il Gran Sacerdote Irian è l'uomo assetato di purezza e conoscenza, che affronterà una serie di prove che lo renderanno sempre più consapevole dell'amara realtà, ossia che gli uomini sono pedine manovrate dagli dei (cioè, povera gente schiava delle ideologie!). La sua "sfida" passa attraverso la conoscenza di entrambe le realtà religiose, il rifiuto categorico di entrambe, quindi il tentativo di redenzione dell'umanità intera. Quest'ultima parte è quella che mi spaventa di più, perché non so se avrò la capacità di comunicare il mio pensiero in modo credibile.

Per ora, sono a pagina 180, capitolo 12, e Irian è ancora Gran Sacerdote della Luce.

Inviato il: 8/11/2006 20:43
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Re: Il prologo del mio libro
Maestro Superiore
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Ok, letto anch'io.

Un unico commento: molto piacevole. La cosmogonia in stile Silmarillion mi è tutt'altro che sgradita e la quantità di dei non crea problemi, è normale che introducendo molti nomi si possa, inizialmente, fare un po' di confusione.
Unico appunto lessicale: la parola "azzuffarsi" mi stona un po' se affiancata agli dei. I bambini si azzuffano, i supereroi Marvel anche... gli dei, secondo me, no

Una domanda, però, voglio farla (a seconda della risposta devo fare una critica): questa cosmogonia è "quanto realmente avvenuto" oppure è, come spesso accade, solo la versione che l'uomo racconta a se stesso?
Nel primo caso ci sarebbero alcune discordanze... ad esempio i "soprannomi" degli dei, che non avrebbero spesso senso di esistere in quanto mancanti i riferimenti "materiali" cui si rifanno. E' improbabile che un dio chiamo un altro dio "l'ardente" se niente prima di allora è mai arso in alcun luogo, no?

Ultima domanda su un aspetto che mi preoccupa un po': com'è possibile che un uomo-pedina come Irian (e come tutti gli altri) si ponga in sfida con gli dei senza che questi in alcun modo lo fermino?
Mi viene da pensare a Raistlin che fa una cosa simile, tentando di diventare a sua volta una divinità e "combattendo" altri dei, ma in quel caso si trattava di divinità che non avevano il "potere assoluto" sul creato.
Stavolta sì, in questo caso ogni mortale è assolutamente schiavo dei poteri divini. Come ci si può ribellare con successo a questo?
Mi viene in mente un'unica ipotesi che, però, coinvolgerebbe una pochezza di ragionamento ed un'esagerata superbia da parte degli dei: il loro credere che quella pedina possa danneggiare solo l'altra fazione aumentando, di fatto, il potere della loro.

Non so quanto chiaramente sono riuscito ad esporre i miei dubbi... non mi è facile spiegarli.

Resta il fatto che, comunque, più che critiche queste sono mie preoccupazioni per l'evolversi della storia. Leggendo premesse che l'introduzione presenta mi viene il terrore che la storia possa trovarsi poi di fronte ad un vicolo cieco...

Inviato il: 10/11/2006 13:04
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Re: Il prologo del mio libro
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Xion_Aritel ha scritto:

Una domanda, però, voglio farla (a seconda della risposta devo fare una critica): questa cosmogonia è "quanto realmente avvenuto" oppure è, come spesso accade, solo la versione che l'uomo racconta a se stesso?
Nel primo caso ci sarebbero alcune discordanze... ad esempio i "soprannomi" degli dei, che non avrebbero spesso senso di esistere in quanto mancanti i riferimenti "materiali" cui si rifanno. E' improbabile che un dio chiamo un altro dio "l'ardente" se niente prima di allora è mai arso in alcun luogo, no?


Ottima osservazione, sarei curioso anche io di sapere qual è la visione di Gurgaz in merito a questo punto. Io propendo sulla seconda ipotesi, nel senso che sembra proprio una leggenda scritta e tramandata. Però effettivamente i particolari sono molti e ben descritti, e non mi stupirei se tutte le cose che gli dèi usano nell'Ehtel Kirion esistessero al di là del "nulla".
Cioè, che il loro concetto di "ardente" fosse magari riferito a qualcosa che esiste nel loro "olimpo".

Inviato il: 10/11/2006 15:30
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Re: Il prologo del mio libro
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Xion_Aritel ha scritto:
Unico appunto lessicale: la parola "azzuffarsi" mi stona un po' se affiancata agli dei. I bambini si azzuffano, i supereroi Marvel anche... gli dei, secondo me, no


Questo è un concetto da mitologia nordica. Gli dei nordici combattono epiche battaglie che scuotono le fondamenta della Terra; gli dei classici bisticciano (altra parola che andrebbe criticata nella tua ottica), s'ingelosiscono, si fanno scherzi, ricorrono a sotterfugi tipicamente umani. Le divinità da me presentate sono un ibrido, con tendenza prevalente verso il classico (come giustamente ha osservato Federico), pertanto possono anche azzuffarsi. Non mi importa che la loro dignità venga ridimensionata agli occhi del lettore.

Citazione:

Una domanda, però, voglio farla (a seconda della risposta devo fare una critica): questa cosmogonia è "quanto realmente avvenuto" oppure è, come spesso accade, solo la versione che l'uomo racconta a se stesso?
Nel primo caso ci sarebbero alcune discordanze... ad esempio i "soprannomi" degli dei, che non avrebbero spesso senso di esistere in quanto mancanti i riferimenti "materiali" cui si rifanno. E' improbabile che un dio chiamo un altro dio "l'ardente" se niente prima di allora è mai arso in alcun luogo, no?


Diciamo che è entrambe le cose. E' come gli uomini se la tramandano, quindi tutti più o meno conoscono la storia, ma è anche quello che è realmente accaduto (non sono il tipo di scrittore che mente al lettore). Cercate di vedere questa introduzione come un testo puramente informativo, che chiarisce al lettore i punti fermi dell'ambientazione, magari in forma accattivante. La rassegna di nomi ed epiteti mi permette di evitare spiegazioni avulse nel mezzo della narrazione.

Se proprio vogliamo filosofeggiare, non vedo che difficoltà abbiano gli dei a chiamarsi tra loro con degli epiteti, anche senza alcun riscontro materiale. Sono gli uomini che hanno bisogno del riscontro materiale; gli dei hanno tutti gli archetipi possibili nella loro testa; ciò che li differenzia è quello che scelgono di manifestare nella creazione.

Citazione:

Ultima domanda su un aspetto che mi preoccupa un po': com'è possibile che un uomo-pedina come Irian (e come tutti gli altri) si ponga in sfida con gli dei senza che questi in alcun modo lo fermino?
Mi viene da pensare a Raistlin che fa una cosa simile, tentando di diventare a sua volta una divinità e "combattendo" altri dei, ma in quel caso si trattava di divinità che non avevano il "potere assoluto" sul creato.
Stavolta sì, in questo caso ogni mortale è assolutamente schiavo dei poteri divini. Come ci si può ribellare con successo a questo?


Gli uomini sanno che gli dei sono in lotta tra loro e gli uomini sono le loro pedine, tuttavia quello che gli sfugge sono le regole che gli dei stessi si sono dati in questo conflitto. Nell'introduzione c'è qualche accenno, ma forse tende a sfuggire. Nel seguito tutto è ripreso e chiarito, anche perché la vita stessa del protagonista ne è pesantemente influenzata.

Gli dei, se vogliono, possono distruggere il mondo intero, di comune accordo, ma nel piccolo il loro potere è limitato dalla loro decisione di utilizzare gli uomini per la Guerra Cosmica. Gli dei non possono, che so, fulminare un uomo se questo gli sta sulle scatole, o sprofondare le città nelle viscere della terra. Essi devono sempre servirsi degli uomini e se li aiutano in modo "non convenzionale" autorizzano l'altra fazione a fare altrettanto. Per questo la Guerra Cosmica è in eterna stasi.

Citazione:

Mi viene in mente un'unica ipotesi che, però, coinvolgerebbe una pochezza di ragionamento ed un'esagerata superbia da parte degli dei: il loro credere che quella pedina possa danneggiare solo l'altra fazione aumentando, di fatto, il potere della loro.


Questo accadrà in un primo tempo, ma stavolta non c'è un "horn of fate" da suonare, per decretare la fine del mondo. C'è l'umanità da liberare, pertanto il problema di Irian non sarà proteggersi dagli dei, ma trovare il modo di parlare agli uomini ed aprire la loro mente. Questo è un compito ben più difficile che "sfidare gli dei".

Le tue paure, Xion, le condivido io stesso, ma rifiuto di pormi il problema finché non dovrò effettivamente scrivere la parte relativa. Tendenzialmente, vedo che appena mi metto a scrivere viene fuori ben più di quel che mi aspettavo, anche perché ho un bagaglio di riflessioni/esperienze che sulla carta trovano ampio spazio.

Come dicevo, adesso sono al capitolo 12. Purtroppo rischio di entrare in un lungo periodo di inattività, causa tesi, ma da gennaio 2006 ho scritto sei capitoli, più la revisione di quelli precedenti. Quando avrò terminato il 16°, che conclude la prima parte del romanzo, sottoporrò il testo a chi è interessato. Vedete, però, che scrivere un libro e vivere una vita "normale" sono attività che non collimano affatto. Pertanto non stupitevi che i tempi siano così dilatati; io ho smesso di preoccuparmene da tempo.

Inviato il: 10/11/2006 18:49
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Re: Il prologo del mio libro
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Perfetto, mi sento molto rassicurato dalla tua risposta

Per l'azzuffarsi va bene come lo intendi tu, è solo una questione di punti di vista... sono bambinoni questi dei

Riguardo ai tempi è ovvio che vita normale e scrittura richiedono spazi e tempi differenti, dunque è normalissimo che tutto si dilati.

Inviato il: 13/11/2006 11:37
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