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FLAGS OF OUR FATHERS --- di Clint Eastwood
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Quando un film tratta avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale, non posso fare a meno di nutrire il sospetto che il regista forzi la realtà e manipoli la storia per facilitare la comprensione di un messaggio. Appena ho saputo che il regista è Clint Eastwood, il sospetto è divenuto certezza; tuttavia, Flags of our fathers era descritto come una riflessione sulle finalità della propaganda e sulla necessità di creare eroi. Un argomento interessante ed ambizioso.

Il fulcro della vicenda è la celebre foto di Joe Rosenthal che raffigura sei marines nell’atto di piantare una bandiera americana sulla cima del Monte Suribachi, durante la sanguinosa battaglia di Iwo Jima. Del sestetto solo tre soldati faranno ritorno dall’isola: il medico John “Doc” Bradley (Ryan Phillippe), il nativo americano Ira Hayes (Adam Beach) e la staffetta Rene Gagnon (Jesse Bradford). Il governo degli Stati Uniti ha bisogno di molto denaro per sostenere lo sforzo bellico e decide di trasformare i reduci in eroi nazionali. Il trio parte per una lunga campagna, atta a rifinanziare la guerra; di città in città vengono salutati come eroi, incontrano personaggi importanti, tengono comizi e sono costretti a ripetere più volte l’innalzamento della bandiera. La leggenda ufficialmente divulgata ha travisato completamente la verità, confondendo i nomi dei marines e trasformando un’azione normalissima in un gesto epico. Ciascun personaggio vive la campagna a modo suo: Gagnon si trova a suo agio nei panni dell’eroe e cerca di approfittare della popolarità, assieme alla fidanzata (Melanie Lynskey); Hayes si chiude in se stesso e cade preda dell’alcolismo; Bradley appare indifferente, ma per tutta la vita è tormentato dai ricordi della battaglia. In un continuo alternarsi di scene in città e flashback su Iwo Jima, il film si avvia a passo lento verso l’epilogo.

Flags of our fathers ha un certo numero di pregi. Prima di tutto, offre scene di guerra di altissima qualità, anche se la produzione di Steven Spielberg ha recuperato la fotografia di Salvate il soldato Ryan (telecamera che rincorre gli uomini, scene brevi e spezzate, colori freddi), senza però soffermarsi eccessivamente sulla violenza, che comunque non manca. Eastwood preferisce trasmettere la sensazione di angoscia e terrore, piuttosto che disgustare con morti orribili e cadaveri mutilati. Le scene insistono sulla perdita dei commilitoni, perché la battaglia è ricostruita con tanti piccoli ricordi dei veterani.

La storia è tratta dal libro di James Bradley, figlio di John, un ricco documentario con cui il figlio ha provato a riempire il vuoto lasciato dall’ostinato silenzio del padre, in particolare riguardo alla propaganda in favore dei war bonds (buoni di guerra). Questa fonte è corroborata da un vasto patrimonio fotografico, per cui i fatti rappresentati hanno una certa attendibilità. I problemi maggiori riguardano la sceneggiatura di Paul Haggis, estremamente frammentaria ed incline a balzare avanti e indietro nel tempo. La necessità di rituffarsi periodicamente nella battaglia nasce dalla monotonia della vicenda, che segue sempre lo stesso schema: arrivo in città, incontro con le autorità, dichiarazioni di Gagnon, ubriachezza di Hayes, con Bradley angelo custode di quest’ultimo. La parte finale si trascina fino alla noia, per esaurire le vicende dei protagonisti.

Gli attori protagonisti non brillano, con la lodevole eccezione di A.Beach. Li trovo piuttosto statici, tanto da essere adombrati dai comprimari. Come in altri film di Eastwood, qualche personaggio assume tratti caricaturali, perché si vuole predisporre lo spettatore ad accettare un messaggio. Flags of our fathers cerca il giusto equilibrio tra l’idealizzazione dei soldati e la realtà degli atti per cui sono celebrati, che con l’eroismo non hanno nulla a che fare. Allo stesso modo, la missione propagandistica dei tre non è né una degna iniziativa né un esecrabile imbroglio. Il film si sbilancia un po’ quando mostra l’emarginazione di cui è vittima il soldato Hayes; a mio avviso, i razzisti compaiono troppo spesso nel momento peggiore. Comunque, non posso che apprezzare l’invito a guardare ai soldati come persone normali in un contesto straordinario, dove ciò per cui si lotta è la propria vita e quella dei compagni. Tutte il resto è frutto di interpretazioni tendenziose, dettate dalle necessità del momento.

Un lavoro discreto, animato da ottime intenzioni, ma non esente da difetti. Tra qualche mese uscirà Lettere da Iwo Jima, dello stesso Eastwood, che presenterà la battaglia dal punto di vista dei giapponesi, finora rimasti invisibili dietro le canne dei fucili e dei cannoni. Una scelta saggia, onde evitare la sindrome dei buoni e dei cattivi che affligge questo genere cinematografico.

Voto di gradimento: 7
Voto critico: ***

Inviato il: 16/11/2006 18:13

Ultima modifica di Gurgaz il 16/11/2006 20:33:08
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Re: FLAGS OF OUR FATHERS --- di Clint Eastwood
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Sembra interessante, a me è piaciuto abbastanza il film di Eastwood sulla pugile donna (non ricordo il titolo ora). Da come ne parli sembra un buon film, magari potrei andarlo a vedere. Non ho ben capito se la storia di loro che vanno nelle città a fare gli "eroi" è troppo ripetitiva o solo un modo per far rivivere poi i flashback sulla guerra.

Inviato il: 17/11/2006 11:01
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Possano la dea Ishir e il dio Kai guidarmi in questo nuovo mondo....
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Re: FLAGS OF OUR FATHERS --- di Clint Eastwood
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La mia idea è che il film poteva essere gestito come Million dollar baby (quello sul pugile donna), cioè suddividendolo in due macrosezioni. In quel caso era l'ascesa e la tragica fine dell'atleta; in questo caso era la battaglia di Iwo Jima e la successiva campagna propagandistica.

Purtroppo, la seconda parte è molto ripetitiva nei suoi avvenimenti e se non si fossero intrecciate le due ne sarebbe risultata una noia mortale. Però anche balzare avanti e indietro non giova, perché frammenta la battaglia di Iwo Jima in tanti piccoli spezzoni, spesso non particolarmente collegati alla scena da cui prendono il via.

Il film non è malvagio, l'ho gradito abbastanza, ma qualche insufficienza ce l'ha.

Inviato il: 17/11/2006 11:10
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Di idee morali non ce ne son più, oggi; e quel ch’è peggio, pare che non ne siano mai esistite. Sono scomparse, inghiottite sin nei loro più piccoli significati... Da L'adolescente di F.Dostoevskij
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