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BLOW - - - di Ted Demme
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Johnny Depp è uno dei miei attori preferiti ed è in grado di sorprendermi ogni volta che recita nel ruolo di protagonista. In Blow di Ted Demme, uscito nel 2001, l’attore si cala nei panni dell’uomo chiave del traffico illecito di cocaina tra Colombia e Stati Uniti, in quell’epoca di falsi miti che erano i primi Anni Ottanta. Sebbene il film offra una visione troppo compiaciuta di un personaggio tutt’altro che raccomandabile, l’incredibile performance di Depp, la piacevolezza di molte scene e il ritmo incalzante lo rendono appetibile per ogni genere di spettatore.

Trattandosi di un’autobiografia, non c’è da stupirsi che alla base ci sia l’omonimo libro di Bruce Porter. George Jung (Johnny Depp) nasce a Boston nel Massachussets. Suo padre Fred (Ray Liotta) è proprietario di una piccola ditta di trasporti e lavora sodo per sbarcare il lunario, di certo non aiutato dalla gelida moglie Ermine (Rachel Griffiths). Quando l’attività del padre fallisce e la famiglia è costretta a fare delle rinunce, George giura a se stesso che egli non vivrà mai una vita del genere. Nel 1968 approda in California, terra assai più libera ed emancipata dell’East Coast. Tra party sulla spiaggia e bibliche fumate conosce la sua futura ragazza, Barbara (Franka Potente), la quale lo presenta ad un uomo che ha le mani in pasta negli ambienti dove circola la roba. Questi è Derek Foreal (Paul Reubens) e diventerà il contatto segreto di “Boston George” per i prossimi 15 anni. Il ragazzo dell’est scopre una miniera d’oro nel traffico della marijuana, che inizia a contrabbandare in quantitativi sempre più cospicui, utilizzando un aereo rubato (!). A lungo andare viene beccato e finisce in prigione, dove conosce Diego Delgado (Jordi Molla) che lo introduce al mondo della cocaina. George e Diego prendono contatto con il “signore della cocaina” Pablo Escobar (Cliff Curtis) ed iniziano ad esportare massicci quantitativi di droga negli USA. Il commercio è molto redditizio e George può perfino permettersi di rubare la fidanzata ad un trafficante colombiano. Egli sposa così la bellissima quanto deleteria Mirtha (Penelope Cruz), che gli dona la sua unica figlia, Kristina. Nonostante egli abbia accumulato grosse somme di denaro, la legge gli sta alle calcagna e finirà per trovarsi in un angolo, tradito da tutti e senza via di scampo.

Il film vanta un cast di tutto rispetto, una sceneggiatura stratosferica, una scrittura eccellente e, in buona sostanza, non una virgola fuori posto. Depp è spontaneo e naturale come non mai, ma è solo il più appariscente di una sfilza di ottimi attori. La storia non ha momenti morti ed alterna con maestria scene scanzonate, dove si fa fatica a non ridere, ad occasioni di riflessione e tensione psicologica. I quadretti famigliari di George Jung sono molto realistici e costituiscono la parte più convincente del film, grazie all’ottima prestazione di R.Liotta nel ruolo del padre e di P.Cruz nella parte di una moglie cinica e venale.

Gli autori David McKenna e Nick Cassavetes hanno realizzato un capolavoro: il modo in cui raccontano la vicenda è fenomenale, perché è allo stesso tempo chiaro e spumeggiante, pur non rinunciando a qualche pausa nel ritmo. Graeme Revell propone una colonna sonora perfettamente amalgamata con le riprese, fatta di brani celebri, capaci di evocare un periodo storico, e di composizioni pensate per le situazioni più tese. La ripresa è meditata e magnificamente curata, così come il montaggio che spesso deve riassumere in pochi fotogrammi diversi anni di vita.

C’è però un elemento che mi disturba moltissimo: la glorificazione e l’apologia del personaggio di Jung. A tratti la prospettiva del regista insiste nel far apparire il narcotrafficante (perché di questo si tratta) una povera vittima di una società ingiusta, finito in malora a causa del tradimento di parenti ed amici. Di primo acchito si tende a simpatizzare per Jung, a condividere il suo desiderio di libertà, la sua voglia di non essere un fallito; però nel film la cocaina appare un divertente mezzo di intrattenimento, mentre in realtà è una piaga socialedalle conseguenze gravissime, soprattutto perché si ritaglia un cospicuo spazio in tutti gli ambiti. La scena conclusiva, con Jung ridotto ad un carcerato visionario, si permette di muovere un’esplicita accusa alla figlia Kristina, che non ha mai voluto visitare suo padre in prigione. Non è un tantino eccessivo? Peccato per questa caduta di stile, perché Blow è una pellicola di assoluto valore, spassosa quanto basta e tecnicamente perfetta.

Voto di gradimento: 7
Voto critico: ****

Inviato il: 12/5/2008 20:54

Ultima modifica di Gurgaz il 14/5/2008 11:02:35
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Re: BLOW - - - di Ted Demme
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Ciao Gurgaz,
il film l'ho visto (ricordo espressamente anche l'ultima scena con la figlia), ma è passato un bel po' di tempo da quella visione. Anche leggendo la tua analisi mi sembra comunque di ricordare che fu un film piacevole e concordo su quasi ogni punto (il cast veramente eccezionale, a partire da Ray Liotta, alla Cruz, allo stesso Depp).

Comunque questo genere di film ("trafficanti nati dal nulla e divenuti Re nel loro ambito per poi finire in disgrazia" ) mi sono sempre piaciuti.

Un altro ad esempio è Scarface (con Al Pacino) e per certi versi anche Goodfellas/Quei Bravi Ragazzi (con Ray Liotta protagonista, anche se lì la questione della droga è presa alla lontana mentre viene dato ampio risalto alla seconda parte del "genere"): due film bellissimi che se non hai visto ti consiglio di farlo assolutamente.


Inviato il: 12/5/2008 21:52
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