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[RACCONTO] by MetalDave
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E' piuttosto vecchiotto ed è spudorantamente ispirato al personaggio di Waylander del sommo David Gemmell (R.I.P.).
Sono bene accette tutte le critiche (che il titolo fa schifo lo so già! )


IL CERCHIO

Herul si lasciò cadere sulla sedia imbottita con un sospiro: dopo aver trascorso tutta la giornata a tagliare legna era stanco morto. Sua figlia, invece, era piena di energie, come tutte le bambine sane di dodici anni del resto; fortunatamente da alcuni minuti era occupata a tracciare con le dita strani disegni sul vetro appannato della finestra ed era relativamente calma. Il boscaiolo sorrise amorevolmente guardandola.
"Papà, c'è un uomo a cavallo fuori!" esclamò d'un tratto la piccola.
Herul si alzò di scatto dalla sedia, preoccupato: non erano molti i viandanti che capitavano da quelle parti.
"Via dalla finestra, Beth!" ordinò alla figlia, in un tono più brusco di quanto avesse voluto. La bambina si affrettò ad obbedire, spaventata.
Herul si avvicinò alla finestra e lanciò un’occhiata verso l’esterno: vicino alla catasta di legna appena tagliata c’era un grande cavallo dal pelo scuro che brucava l’erba, sellato e imbrigliato, ma del suo cavaliere nessuna traccia. Il bussare proveniente dalla porta della sua abitazione quasi gli fece balzare il cuore in gola.
Herul respirò profondamente per calmarsi e per dare una nota sicura alla sua voce che, ne era sicuro, altrimenti sarebbe suonata stridula e impaurita.
“Ascolta Beth, adesso papà va a vedere chi è che bussa. Tu vai nella tua camera e nasconditi nella cassapanca, va bene? “ disse lentamente guardando serio negli occhi la figlia.
La piccola annuì, poi corse rapidamente verso la sua stanza.
L’estraneo bussò nuovamente alla porta e Herul, dopo aver preso il suo largo coltello da caccia, andò ad aprire. L’uomo che aveva bussato sentendo la porta aprirsi doveva essere arretrato, perché Herul lo trovò distante qualche passo dalla soglia della propria casa. Era più basso e meno robusto di lui e questo lo rincuorò un poco. Indossava un logoro mantello marrone che lo copriva quasi interamente: solo gli stivali chiazzati di fango erano visibili, oltre al volto semicoperto dai lunghi e arruffati capelli corvini.
“Cosa vuoi?” domandò il boscaiolo burbero.
“Un uomo di nome Kyal. Abita da queste parti.” Lo straniero parlò lentamente, a mezza voce.
“E chi lo cerca?” chiese nuovamente Herul.
“Quello non serve.” Rispose invece lo sconosciuto.
Per un istante Herul non capì, poi si ricordò di stringere in pugno il coltellaccio. Stava per ribattere rabbiosamente quando lo sconosciuto con un leggero movimento scostò appena il mantello consunto. Il taglialegna intravide l’elsa di una spada e di una lunga daga infilate alla cintura, mentre di traverso sul torace c’era una striscia di cuoio a cui erano appesi tre pugnali da lancio. Quando incontrò gli occhi dell’uomo che gli stava di fronte Herul lesse solo morte. Ne il suo coltello, ne la sua maggior mole sarebbero serviti. Lentamente se lo infilò nella cintura.
“Perché cerchi questo Kyal?” chiese nuovamente.
“Devo saldare un debito. Sai indicarmi la sua casa?” fu la risposta dello straniero.
“Kyal è un nome molto comune uomo, non è facile…” iniziò Herul, ma l’uomo lo interruppe.
“Ha i capelli rossi.” disse, stringendo gli occhi. Il boscaiolo rabbrividì. In una terra dove la maggior parte degli uomini aveva i capelli scuri, quello era un segno di riconoscimento piuttosto preciso. Per un momento Herul pensò di mentire, ma lo sguardo del suo interlocutore gli sconsigliò di farlo.
“Si, lo conosco. – ammise – vive non lontano da qui, in una casa simile alla mia, sull’altro lato della collina.”
Lo sconosciuto annuì, poi si voltò e si diresse verso il suo cavallo, e salitovi in sella se ne andò. Herul tornò in casa e si diresse verso la cucina, dove si versò un bicchiere di liquore che vuotò d’un colpo.
“Papà?” chiamò Beth.
“Sono qui tesoro.” rispose l’uomo.
La piccola entrò nella stanza con la curiosità dipinta in volto.
“Chi era quell’uomo papà?” domandò.
“Solo un cacciatore che si era perso Beth, solo un cacciatore.” le rispose.
La bambina sorrise.
“Doveva essere proprio inesperto! Non aveva nemmeno un arco!” sapeva bene come si equipaggiavano i cacciatori di quelle parti quando andavano a caccia; Melon aveva un arco di legno bianco e una volta glielo aveva lasciato tenere perfino in mano. Melon era un adulto, ma era anche molto simpatico pensò Beth prima di tornare alla finestra a tracciare i suoi disegni sul vetro appannato.
Herul guardò per un attimo la figlioletta. No, quell’uomo non era inesperto e il suo equipaggiamento era perfettamente adatto al tipo di preda da lui cacciata. Lo straniero cacciava uomini.

***

Era da poco passata l’alba e Kyal si stava dirigendo verso il torrente poco distante dalla casa che aveva costruito per lui e per Dara, sua moglie. Avrebbe pescato tutta la mattina.
Improvvisamente di fronte a lui si parò una figura, come materializzatasi dal nulla, facendolo sobbalzare.
“Per i Sette uomo, mi hai quasi fatto prendere un colpo!” imprecò Kyal, poi si accorse che l’uomo che aveva di fronte non era ne un boscaiolo ne un cacciatore di quelle parti, e la rabbia mutò in timore.
L’uomo era di corporatura media, con lunghi capelli corvini arruffati, il logoro mantello marrone che aveva sulle spalle aperto abbastanza da svelare una spada e una daga infilata alla cintura e una bandoliera di cuoio portata di traverso sul petto a cui erano appesi tre pugnali da lancio.
“Chi sei? Non ti ho mai visto qui?” domandò, irritandosi quando si accorse di non essere riuscito a mascherare una nota tremula nella sua voce.
“Nemmeno tu ricordi il mio volto.” constatò l’uomo.
“Dovrei?” chiese cautamente Kyal.
“Dovresti.” fu la risposta.
Kyal sentiva la propria gola farsi arida. Sapeva di trovarsi in pericolo e cercò di prendere tempo.
“Aiutami a ricordare uomo. Abbiamo forse combattuto insieme?” Kyal era stato un mercenario, e anche qualcosa di peggio a volte, e aveva conosciuto gente di tutti i tipi.
La mano sinistra dello straniero, rimasta fino a quel momento nascosta sotto il mantello, emerse dalle pieghe dell’indumento impugnando una piccola balestra d’argento e con il calcio in avorio, carica.
Kyal ebbe un tuffo al cuore, in parte per la paura, in parte perché sapeva di aver già visto quell’arma, anche se non riusciva a ricordare quando e dove.
“Siedi, Kyal il Rosso, siedi e ascolta la mia storia. In questo modo ricorderai. Hanno ricordato tutti.” intimò l’uomo dal mantello marrone puntandogli contro l’arma.
“Per gli dei! Ho una moglie e un bambino, non uccidermi!” implorò Kyal.
Sulle labbra dello straniero si dipinse l’abbozzo di un sorriso, privo però anche della più remota traccia di allegria.
“Bizzarro. Nella mia storia c’è un uomo che dice una frase molto simile. Ma non viene ascoltato.” Il tenue sorriso svanì mentre pronunciava le ultime parole.
“Nove anni fa, sette uomini si imbatterono in una fattoria, una fattoria dove vivevano un uomo, sua moglie e la loro bambina. Una bella bambina dai riccioli castani, come quelli della sua mamma.” Iniziò a raccontare l’uomo, con gli occhi che brillavano.
“Quei sette uomini videro la donna e ne notarono la bellezza. Forse furono colpiti dai suoi splendidi capelli - continuò lo straniero – e decisero di possederla.”
Nella mente di Kyal iniziò a riaffiorare tutto. Erano passati nove anni, ma come aveva potuto dimenticare una cosa del genere? Forse perché erano ubriachi e sotto l’effetto dei petali di loto nero. Una terribile morsa gli serrò il cuore.
“Il marito però si oppose, ricordi?” chiese l’uomo dal mantello consumato.
Kyal annuì. Ricordava l’uomo scagliarsi contro di loro, e poi accasciarsi a terra, colpito da una quadrella nel petto. Fissò l’uomo dal mantello marrone in volto.
“Tu?” chiese in un soffio.
“Io.” convenne l’uomo.
“No. – protestò incredulo Kyal, scuotendo la testa rossiccia – Lui è morto. Tu sei morto, Jersha ti ha colpito con un dardo, li nel petto.” Ecco dove aveva già visto quella piccola balestra dal manico d’argento: era l’arma prediletta di Jersha il Bruciato.
“Come fai ad avere la sua balestra? Teneva a quell’arma come alla sua stessa vita!” esclamò.
“Di meno Kyal, di meno.” rispose lo straniero, vendicatore di un torto lontano.
A Kyal sembrava di vivere un orrendo incubo.
“Tu ci hai dato la caccia per tutti questi anni?” riuscì infine a domandare.
“Il primo è stato proprio Jersha. Poi è toccato a quel mezzosangue shadako, Morkay. Lui è stato il più duro da uccidere. Yasli e Mero li ho trovati insieme a Gil-Amor. Yasli mi ha persino chiesto scusa. Poi sono venuti Moran l’Albino e Udro. Per lui sono andato fino in Corhallia. Li ho trovati tutti, e tutti hanno saldato il debito che nove anni fa hanno contratto con me. Tu sei l’ultimo, Kyal il Rosso.” L’uomo aveva continuato a parlare con lo stesso tono piatto per tutto il tempo.
“Io non l’ho toccata uomo. Te lo giuro su mio figlio.” Kyal era prossimo alle lacrime.
“Lo so Kyal. Per questo tu non soffrirai come Morkay e Moran, e non morirai pateticamente come gli altri, piangendo e urinandoti addosso. Adesso tu andrai a casa, saluterai tua moglie e tuo figlio, prenderai la tua spada e tornerai qui. Ci batteremo. E’ più di quanto meriti.” Rispose il vendicatore dal mantello consumato.
“Lo sai che non avrei potuto fermali, vero?” sapeva che era stupido giustificarsi, ma ne sentiva un’impellente bisogno.
“Avresti dovuto provare.” fu la risposta.
Kyal si voltò per tornare verso casa.
“Kyal!” lo chiamò l’uomo.
“Si?” rispose senza voltarsi.
“Torna. Altrimenti ti verrò a cercare.” lo ammonì.
Con un groppo alla gola, Kyal il Rosso si diresse verso la sua casa, maledicendo le calde lacrime che iniziarono a rigare il suo volto.

***

Dara si era accorta che c’era qualcosa che non andava in lui, ma Kyal aveva ignorato tutte le sue domande.
“Devo saldare un debito.” si era limitato a dire alla moglie mentre cercava nervosamente la propria spada. Era parecchio tempo che non la maneggiava più, ma quando strinse le dita intorno all’impugnatura rivestita di cuoio, la sensazione gli parve familiare come se non fosse passato più di un giorno dall’ultima volta che l’aveva usata.
“Kyal, cosa succede? Perché quell’arma?” la voce della donna era carica di angoscia.
“Il mio debito non si può pagare con il denaro.” ammise il marito.
Dara cadde in ginocchio, scoppiando in lacrime. Kyal non la consolò: se lo avesse fatto non avrebbe trovato il coraggio di presentarsi per il duello.
Allacciandosi la cintura a cui era appesa l’arma si fermò un istante a guardare suo figlio di otto anni che stava affrontando un esercito di immaginari nemici impugnando un lungo bastone, che nelle sue mani era un’affilata spada.
“Ciao papà!” lo saluto il piccolo, correndo verso di lui.
“Dove vai con la spada?” chiese, sgranando gli occhi nel vedere l’arma.
“Papà va via per un po’. Tu sei un ometto e ti occuperai della mamma mentre io non ci sarò. Posso contare su di te Gheno?” Kyal aveva appoggiato le mani sulle spalle del figlio mentre gli parlava.
“Certo! Io sono un uomo ormai!” rispose risoluto il piccolo, assumendo un’espressione solenne.
“Bravo ragazzo!” concluse Kyal, poi si alzò e si incamminò verso il torrente dove lo aspettava il suo avversario.
Solo dopo aver superato la metà del tragitto si accorse di non aver neppure baciato la moglie. Il suo cuore fu sul punto di esplodere.

***

L’uomo dal mantello marrone lo aspettava nello stesso punto in cui lo aveva lasciato.
Stranamente adesso Kyal non aveva più alcuna paura, nonostante davanti a lui si trovasse l’uomo che aveva sterminato tutti i suoi vecchi compagni, alcuni dei quali erano uomini ben più duri di lui da uccidere. Inspirò un paio di volte, poi estrasse la spada dal fodero e abbozzò un saluto.
“Sono venuto a pagare il mio debito, uomo.” disse.
L’uomo dal mantello logoro annuì, poi sguainò a sua volta la spada ed avanzò.
Kyal gli andò incontro.

***

“Non mi sono battuto male, vero?” chiese il giovane dai capelli rossi all’uomo dal mantello marrone che era in piedi accanto a lui.
“Meglio di molti altri.” rispose questi.
La casacca del giovane si andava mano a mano colorando di rosso, mentre il sangue fiottava da una ferita inferta poco sotto lo sterno. Era una ferita mortale, ed entrambi gli uomini lo sapevano.
“Non farai del male a Dara e a Gheno?” domandò ancora il moribondo.
“No, tu eri l’ultimo ela mia vendetta è stata portata a termine. Ora il cerchio è chiuso.” disse l’uomo con il mantello.
Kyal annuì, poi giacque immobile. Era morto.
Un urlo femminile carico di angoscia lacerò la quiete del boschetto. Il vincitore del duello si girò di scatto, allarmato, e vide una ragazza dai capelli biondi che correva verso di loro, reggendo in braccio un bimbo di circa otto anni, forse meno.
“Perché?” gli urlò contro, il volto grazioso sfigurato dall’odio e dal dolore.
L’uomo non disse nulla, limitandosi a dirigersi lentamente verso il proprio cavallo; se era addolorato non lo dava a vedere. La donna intanto si era gettata sul corpo del marito ormai morto, piangendo disperatamente, mentre il bambino era rimasto immobile, con gli occhi fissi sul padre e la madre. Poi lo sguardo del piccolo Gheno si posò sull’uomo a cavallo, i grandi occhi lucidi per le lacrime e la rabbia impotente.
“Quando sarò grande ti ucciderò.” promise con la semplicità dei bambini, sebbene l’odio che trasudavano le sue parole non avesse nulla da invidiare a quello degli adulti.
L’uomo dal mantello marrone sospirò, poi fece voltare il cavallo e si allontanò.
Il cerchio si era riaperto.

Inviato il: 31/1/2007 13:40
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Re: [RACCONTO] by MetalDave
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N.B. So che ho utilizzato il termine shadako per indicare la razza di uno dei razziatori, ma l'ambientazione del racconto non ha nulla a che fare con Lupo Solitario. Immagino che quando stavo cercando il nome per quel determinato popolo (simile ai mongoli ai tempi di Gengis Khan) sia riaffiorata dai ricordi della gioventù la parola shadako e inconsciamente io l'abbia usata. Quando poi mi sono accorto della sua provenienza non avevo più voglia di cercare un altro nome

Inviato il: 31/1/2007 13:48
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Re: [RACCONTO] by MetalDave
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Bello, perchè no?

Inviato il: 10/2/2007 9:12
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Re: [RACCONTO] by MetalDave
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Devil_Arhangel ha scritto:
Bello, perchè no?



Inviato il: 10/2/2007 14:59
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Re: [RACCONTO] by MetalDave
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Ancora devo leggere il racconto, ora non ho tempo, ma vorrei che sapessi che lo tengo in considerazione

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Re: [RACCONTO] by MetalDave
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FalcoDellaRuna ha scritto:
Ancora devo leggere il racconto, ora non ho tempo, ma vorrei che sapessi che lo tengo in considerazione

Lo stesso per me,purtoppo la mia negligenze,la mancanza di tempo e una droga chiamata videogiochi(online! che è come dire droga pesante ) mi impediscono di leggere i racconti quì postati.
Devo leggere l'incipit di Gurgaz e qualche altro racconto.
Il LG on Writing non lo leggo più a sto punto e aspetto sia finito
Appena ho un briciolo di tempo in più mi ci dedicherò.

Inviato il: 11/2/2007 11:04
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Re: [RACCONTO] by MetalDave
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