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[Prologo] - Maltravasso
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I rintocchi della campana del Tempio di Ilmona risuonano chiari, placidi e familiari per le vie gremite di gente. E' quasi metà mattina e la grande città, capitale della nobile Bramoldia, è sveglia e brulicante di vita. Tra bancarelle improvvisate, tappeti stesi sull'acciottolato, carretti trainati da asinelli male in arnese, il popolo si aggira intento alle quotidiane commissioni o in cerca di un ninnolo a poco prezzo.

Molti portano un fagotto sotto il braccio, dentro il quale nascondono gelosamente i loro averi, oggetti di varia specie che sono venuti a barattare. A Laitia lo scambio è ancora il sistema più usato nel commercio, per cui gli oggetti che non servono più al proprietario trovano presto una nuova collocazione. Naturalmente c'è sempre chi ci perde e chi si arricchisce, ma l'importante è che entrambi sono soddisfatti del risultato.

Tra vecchi tuguri, possenti torri e squallidi palazzacci, solo l'imposta di un piccolo appartamento del secondo piano è ancora chiusa. Per dieci volte il battaglio ha picchiato sulla campana, troppo per non turbare il sonno del giusto. Anche se il suo riposo merita il dovuto rispetto, l'abitante di questa topaia non era certo un giusto, un onesto cittadino di Ilmona, altrimenti non starebbe ancora a letto per recuperare le ore notturne spese in appostamenti, borseggi e tentativi di furto.

Le imposte si aprono e Maltravasso il ladro fa la sua apparizione, un brutto ceffo pieno di cicatrici mal celate da una barbaccia nera ed ispida quanto i capelli. Con un saporito sbadiglio, il furfante saluta la gente nella strada sottostante, ignara che presto tornerà in mezzo a loro col solo scopo di ridistribuire meglio le ricchezze di Ilmona.

Mentre si sciacqua il viso presso il catino, la cui acqua sarebbe certo il caso di cambiare, per poco non gli prende un colpo quando un oggetto scuro ed enorme piomba nel suo appartamento, attraverso la finestra spalancata. -"Accidenti a te, Brumante!" - impreca Maltravasso contro l'enorme gatto nero che gli è appena entrato in camera - "Quante volte ti ho detto di avvisare sempre quando arrivi? Ogni volta mi prendi di sorpresa, sembra quasi che lo fai apposta".

Due occhi di bragia lo fissano con condiscendenza. Le mascelle irte di dentini diabolicamente appuntiti si aprono e lasciano cadere a terra un piccolo pesce Bapi, sottratto poco fa al bancone di un pescivendolo. Brumante sa come procurarsi il cibo che gli piace e ha pure gusti raffinati. Il gatto scrolla il capo, si lecca i baffi ed ignora Maltravasso, mentre si appresta ad addentare la sua ricca colazione.

-"Fai pure finta di ignorarmi, briccone che non sei altro" - dice l'uomo - "tanto so che hai capito. Vedi di sbrigarti a divorare quella leccornia, che tra poco scendiamo in strada. Si dà il caso che anch'io abbia fame e che non ci sia neanche una crosta di pane da mangiare". In pochi minuti Maltravasso è vestito e pronto a gettarsi tra la gente.

(Prosegue Dr.Scherzo. Racconta come tu e Brumante scendete in strada, cosa vedi e come ti procuri da mangiare. Puoi inserire liberamente nuovi personaggi nel racconto, che ha come scopo principale farti entrare nel personaggio e portare tutti i giocatori a Laitia)

Inviato il: 15/1/2009 21:32

Ultima modifica di Gurgaz il 17/1/2009 17:42:11
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Re: [Prologo] - Maltravasso
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Un sorriso sghembo si dipinge sul rude volto di Maltravasso mentre questi, gambe larghe e mani sui fianchi, scruta con cupidigia la città dalla finestra.
“Lo sole sorge de nuovo por mia privilegiata delizia. La sciocca gente d’ista città confabula et baratta sanza lo giudizio mio, movendo robba ch’è sol mia. Ignavi! Essi ancor non canoscono Maltravasso, paròn de tutta la robba ch’esiste, visibile et invisibile!”
Perso nei suoi pensieri, lo scalcagnato brigante non s’avvede dell’oscuro movimento attorno ai suoi piedi se non quand’è troppo tardi.
“Ah, dannato Brumante, che tu fai? Ista non è lieta locazione per liberar lo malo peso c’hai in corpo!” esclama, cercando di ripulirsi il bisunto stivale dai freschi bisogni del fetido gattaccio. Maltravasso cerca di mollare un calcio al felino, il quale però prontamente schiva, ed il ladro scivola, piombando a terra dritto col sedere. Mugugnando irripetibili improperi, il rom si rialza, toccandosi un fianco dolente e fissando acutamente l’animale… che da parte sua sbadiglia e scodinzola via con una calma olimpica, ricambiando lo sguardo con fare sornione.

Sempre brontolando a bassa voce, Maltravasso sistema alcune cose nella sua sacca da viaggio, raccattando parecchi degli oggetti che si trovano nella stanza: coperte, vasellame vario, un paio di piccoli specchi, un grosso pettine, della frutta piuttosto matura e, non ultima, una piccola borsa di monete sonanti. D’un tratto egli si ferma, in allarme. A passi felpati s’avvicina ad una porta di legno e mette una mano a coppa attorno all’orecchio, ascoltando. Dall’altra parte s’ode un lieve russare. Maltravasso s’acquieta, sorridendo tra sé.
“Riposa pure, cara Rosamunda – pensa – sol iere ti conobbi, ma così tanto mi donasti… In effetti ancor più mi donò tuo marito – e qui Maltravasso accarezza la borsa di monete - ma non cavilliamo”.
Con un balzo egli scende le scale della casa, ed è dinnanzi la porta. S’aggiusta la bandana, un tocco alla fusciacca, ed apre l’uscio.

“Ohibò, e tu chi saresti mai?” domanda stupito l’omaccione calvo che stava per aprir la porta con le proprie chiavi.
“Ispettore regionale cittadino per… i soppalchi” risponde svelto Maltravasso.
“Mai avuto un soppalco” replica sospettoso l’uomo, gli occhi due fessure.
“Dubbio non v’è alcuno, e niuna erroranza, dunque. Balzelli non avrai da pagare! Grandemente contento sarai! Che la giornata ti sia propizia” mastica fuori il brigante, mettendosi rapido in strada.
Il rom non fa però che pochi passi, poiché le urla stentoree d’un donnone si riversan fuori dalla finestra giù per le strade.
“MALTRAVASSO! AMOR MIO, DOVE VAI? TORNA QUI, SONO TUA!” strepita la scarmigliata Rosamunda in camicia da notte, facendo sobbalzare l’immenso petto su e giù e allargando braccia grandi come prosciutti stagionati.
“AH! FERIGR… FEDI… FEDRIGRAF… VILE MARRANO!” urla di rimando l’omone pelato, che risponde al nome di Tebaldo De’ Carnocchi, marito di Rosamunda e legittimo padrone di casa.
Malimortè” riesce a biascicare in rom-anesco stretto Maltravasso prima di essere colpito da un GROSSO bastone nodoso, arma prediletta del collerico Tebaldo.
“Malinteso! Equiproquoco! Necessità…AGH… non v’è… URGH… di usar su me violenzaaAAAHIA! Brumante, a me! Difendi lo padrone tuo!” cerca di dire il ladro mentre Tebaldo ancora lo percuote tenendolo per la nuca. “Ben fortunato tu sei ch’io non sia…UAGH… uomo facile all’uso d’angheria… perch’altrimenti gonfieretti come … SBLEEH… grassa zampogna!” arriva a proclamare con l’indice teso in alto in segno d’ammonimento.
GRASSA A CHI? LA MIA ROSAMUNDA E’ UNA *SIFILIDE*!” prorompe Tebaldo, fuori di sé dall’ira.

Segue furiosa zuffa da cui Maltravasso esce fortunosamente illeso: Tebaldo, infatti, urta subito con il deretano la bancarella d’uno stagnino, provocando la dura reazione di questi, che però tentando di rivalersi sul De’ Carnocchi colpisce inavvertitamente con una mazza l’erborista lì a fianco, che reagisce a sua volta scivolando sul carretto del pescivendolo e scatenando, insomma, una rissa di dimensioni colossali lungo tutta la via, con decine di mercanti e popolani che se le danno di santa ragione, dimenticandosi presto del rom.
Nella confusione creatasi, una mela rotola per terra e Maltravasso la raccoglie, addentandola.
Zoppicando, il povero diavolo… ehm, il brigante s’avvia mestamente, seguito a breve distanza dal divertito Brumante, non avvedendosi però del grosso strappo nella sua sacca, con la conseguenza che tutti gli oggetti sottratti dalla casa di Tebaldo cadono in terra, lasciando una comica scia di pentolame e vasetti che altri ladruncoli s’affrettano a far sparire.

Inviato il: 16/1/2009 14:25

Ultima modifica di =Dr.Scherzo= il 17/1/2009 17:10:51
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Re: [Prologo] - Maltravasso
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Ignaro di aver perso la refurtiva, Maltravasso si allontana dal mercato canticchiando allegramente un’aria delle sue terre. -“Ro-sa-munda, Tu si la vita por me! Ro-sa-munda, tutto mio core per te! Paraparapappappa... nei tuoi basi, v’è tanta felicità, più te guardo e più me piaci, Rosamu … un … da”. Si mette a ridacchiare da solo, mentre Brumante scuote la testa sconcertato.

Raggiunge l’androne di un grande caseggiato e fa per aprire la sacca. Amara sorpresa. Due ragazzini che giocavano nel cortile sentono prolisse urla riecheggiare sotto l’arco e si avvicinano per vedere chi è che fa tutto quel baccano. Scorgono Maltravasso proprio quando scaglia la sacca bucata contro il muro, lasciando partire una serie di colorite imprecazioni: “Ah, si fussi foco, andrei da lo sartoro che sì maldestramente cucì cotesta sacca! Guarda un po’, credea di aver rubbato bona mercanzia, ma confidar non si puote nell’arte d’un bottegaro de Ilmona. E poi diconmi ladro! Vero ladro è chi intasca moneta sonante per opra che non li compete”.

I bambini sgranano gli occhi alla vista di quel rude individuo, che parla così strano e con tanta foga. Di colpo davanti a loro si para Brumante, il pelo dritto e la schiena arcuata. Il gatto li squadra con gli occhi giallastri ed emette un ringhio soffocato. E’ una visione così tremenda ed infernale, che i bimbi scappano a gambe levate, a piangere dalla mamma.

-“Di un po’, satanasso” – gli si rivolge Maltravasso – “Parti atto onorevole, incuter timore a du’ povere criature? Cotesta azione l’è proprio degna del pusillanime che tu sei. Potessi un dì veder le pregiate zanne e li rostri tuoi dilaniar li nemici de Maltravasso, che stamani lasciasti a mal partito con De’Carrocchi! Tieni il ventre d’un gigante e la paura d’un sorcio”. Il gatto lo guarda di sfuggita e gli fa ben capire che sta parlando a vanvera.

Così il ladro riprende la strada, diretto verso un altro mercato. Si aggiusta la fusciacca e, con gran stupore, scopre al suo collo una bella collana d’oro, con dentro l’immagine di un Sacro Protettore. -“Ohibò!” – esclama – “Trattasi senz’ombra di dubbio d’un dono della soave Rosamunda. Oh, amante meravigliosa, che così gentilmente hai voluto provveder l’omo tuo! E chi è cotesto vecchio ubbriacone? “S. Dondino, bello è bere solo vino”. Potrebbe esser lo protettor mio, s’io credessi in tali scempiaggini”. Si toglie la collana e la ficca in tasca. -“Prezioso all’occhi miei è l’oro” – dice Maltravasso – “e cognosco compare che darà giusto guiderdone per cotesto amuleto”.

Si avvia verso un quartiere malfamato, fatto di stretti vicoli ed orribili tuguri infestati dai ratti. Brumante trotterella qualche metro più indietro ed alterna brusche sparizioni ad altrettanto improvvise ricomparse.


(Prosegue Dr.Scherzo. Racconta il tuo incontro col misterioso ricettatore e come conduci la trattativa. Vorrei che alla fine qualche soldo lo avessi, per mandare avanti la narrazione. Ti comunico anche che le unità monetarie di Laitia sono, in ordine crescente di valore: il Ceo di bronzo, la Moneta d'argento, il Pezzo d'Oro Alchemico e l'Oplo di platino. 1 oplo=10 Oro Alchemico=100 Monete=1000 cei. 1 oplo sono tanti soldi, però qualche pezzo di Oro Alchemico lo puoi spuntare. L'oro minerale, considerato prezioso, non viene usato come moneta.

Inviato il: 20/1/2009 22:12
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Re: [Prologo] - Maltravasso
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Maltravasso sogghigna e svolta un angolo, poi un altro e poi un altro ancora, addentrandosi sempre più nel budello di viottoli che compongono i bassifondi.
Brumante lo segue incuriosito, ombra tra le ombre. Chissà dove lo sta portando il suo scalcagnato amico a due zampe. Il gatto è intrigato: le urla del donnone lo hanno irritato, ma ora le buie e contorte stradine sembrano promettere nuovi giochi e nuove avventure. Ci sono tanti cani randagi da spaventare, qui attorno... Ah! E c’è anche quell’ometto che odora di strano, che parla in modo buffo e che gli dà sempre da mangiare. Miao! La giornata potrebbe rivelarsi gradevole. Scodinzolando pigramente, Brumante alza lo sguardo sullo strambo brigante che ha scelto come padrone, chè tosto s’è fermato.
A circa metà dell’ennesima stradina in penombra v’è un curioso baracchino stracolmo di cianfrusaglie d’ogni sorta. Uno sgangherato cartello appeso ad un palo recita in laitiano zoppicante: “COSE DE ALTRRE CASE – Rimedi taummaturgichi, chincagliumi et baratteria”. Dietro al baracchino, qualcuno sta rovistando rumorosamente in cerca di chissà cosa.
Maltravasso s’avvicina e si schiarisce platealmente la voce.
Una testolina anziana, spelacchiata ed allarmata subito spunta da dietro il chioschetto sbilenco, guardandosi attorno. Due occhietti acquosi si fissano sul ladro, si socchiudono, lo studiano per qualche istante. Un olezzo di formaggio stracotto e vecchiume si diffonde implacabilmente tutt’attorno.
“Si?” gracchia il fetido figuro.
“Mi paleso, Postracchione, son io, Maltravasso. Hai rimembranza di me?”
“Lo nome mio è Postracchion Degli Orpelli, non Maltravasso” ribatte il vecchino, sospettoso.
“V’è equivocanza. Lo nome MIO est Maltravasso, lo tuo invero è…”
“Bevi” intima al brigante il nonnetto, tendendogli una lorda fiaschetta.
“Bisogno non v’è di…” cerca di controbattere Maltravasso, confuso.
“Bevi” ripete Postracchione.
Il brigante allunga una mano, afferra la fiaschetta e, dopo aver odorato il disgustoso intruglio che v’è all’interno, ne ingolla un aspro sorso.
“Meglio?” domanda l’anziano, frugando nel suo baracchino e tirando infine fuori un pasciuto topastro morto, facendolo oscillare davanti all’ingolosito Brumante e bisbigliando cose tipo “Pucipucipuci, ma chi è quel bel gattone?” (cosa che spiazza sempre Brumante, che ha una reputazione di bestia maligna da difendere).
“Argh, mi sento strano, come… liberato. Codesta pozione fa schifo, con cosa l’hai fatta?” risponde Maltravasso in laitiano non più arcaico.
Guciguci, vieni qui, bel micione… Liquore, escrementi di pecora e cannella. Serve per perdere… l’accento” risponde quieto Postracchione.
“Una potente mistura, davvero!” esclama stupefatto il ladro, toccandosi la bocca.
“Sei mica il solo che soffre di arcaicìte cronica. Ma v’è rimedio, come hai visto. Non parlerai più come un citrullo per i mesi a venire!” spiega sorridente Postracchione, mostrando orgogliosamente una fila di denti neri come il carbone.
“Postracchione, sono venuto per…” comincia il ladro, ma è subito interrotto.
“Fanno trentacinque monete d’argento” sentenzia infatti l’altro, e sorride di nuovo, beato.
Maltravasso tace per acluni istanti, poi un ozioso sorriso s’allarga anche sul suo volto.
“Ma ceeerto, certo… Possiamo sicuramente trattare, vero, amico mio? Ho qui qualcosa che potrebbe interessarti…” invita il brigante, affabile.
“Sicuramente, amico mio” risponde Postracchione altrettanto affabilmente, appestando l’aria col suo fiato pestilenziale e gettando a Brumante il grasso topo.

Troppo intento a mangiare, Brumante non ascolta la conversazione tra i due, quindi non s’avvede che, alla fine di trattative piuttosto animate, per lui c’è un altro grosso topo (dono di Postracchione), oltre a tre pezzi d’oro alchemico e diciotto monete d’argento per il guarito Maltravasso.

Inviato il: 22/1/2009 11:36
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Re: [Prologo] - Maltravasso
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Maltravasso lascia la baracca di Postracchione e respira a pieni polmoni l’aria del primo pomeriggio, finalmente libera dal lezzo di formaggio affumicato. “Bene, Brumante” – dice il ladro con soddisfazione – “ho le tasche piene di moneta sonante ed è tempo di pensare a come spenderla! Siccome sono molto affamato, un buon investimento potrebbe essere un lauto pranzo alla Taverna del Gatto Nero. E’ un pezzo che non mi concedo un pasto come si deve”. Brumante sbadiglia assorto, poiché già ben pasciuto a forza di ingollare gustosi pesci e grassi sorci.

Svoltato l’angolo che dà su una via laterale, con le ali ai piedi per la contentezza, Maltravasso finisce addosso ad un biondo giovane vestito di tutto punto, con la spada al fianco e l’aria aristocratica. Costui mena per le redini un bel cavallo, che nitrisce spaventato alla vista del minaccioso Brumante. “Ebbene?” – chiede il giovane, scrollandosi di dosso Maltravasso – “Le pare il modo di imboccare una strada? Mi siete piombato addosso come se foste un ladro”.

“Mille scuse nobile signore” – mormora il Rom, fingendo di temere quel pallone gonfiato – “Maltravasso non aveva nessuna intenzione di offendervi o di scomporre le vostre pregiate vesti”. E come se niente fosse allunga le mani e comincia a rassettargli l’abito. Il nobile si sottrae seccato e gli intima di andarsene per la sua strada, prima che si senta in dovere di dargli una lezione. “Desolato, voscienza” – risponde il ladro – “volevo solo rendermi utile ed alleviare il vostro danno. Poiché non apprezzate le mie premure, proseguite pure il vostro cammino e io farò altrettanto”.

Il giovane gli getta un’occhiata carica di sdegno e si volta tirando il cavallo dietro di sé. Maltravasso non resiste alla tentazione di rubargli qualcosa ed arraffa una piccola sacca appesa alla sella. Una volta lontano, commenta soddisfatto: “Ecco una buona sacca, che non mi farà perdere la refurtiva”. Dentro ci sono poche cose, una pergamena ed altri piccoli oggetti. Maltravasso decide di esaminarli con cura più tardi e decidere se tenerli o disfarsene.

Il ladro prosegue e raggiunge il largo di Cirrobabo, la contrada di Ilmona dove si trova la Taverna del Gatto Nero. Una volta giunto sotto l’insegna raffigurante un maestoso felino dagli occhi furbi, il ladro si accorge che Brumante è sparito. Ora che ci pensa, non ricorda di averlo visto dietro di lui dopo l’incontro col nobile spocchioso; poco male, quel gattaccio diabolico ha ben più di sette vite e sa benissimo che il suo padrone era diretto alla rinomata osteria.

Maltravasso entra con gran fragore e, dalla soglia, scruta l’ambiente con le braccia puntate sui fianchi. L’ora di pranzo è passata da un pezzo e il Gatto Nero è popolato solo da pochi sfaccendati. Dietro il bancone, una cameriera dai capelli rossi e ricci alza i begl’occhi verdi in direzione del nuovo venuto, che le risponde con uno sfacciato occhiolino. La giovane arrossisce e cerca di sfuggire il suo sguardo. “Bella figliola” – mormora tra sé il furfante, mentre si avvia baldanzoso ad un tavolo al quale mangerebbero in tutta comodità almeno cinque persone.

Posa la sua roba in parte, si adagia mollemente sulla panca, si stiracchia e batte due volte il pugno sul tavolo per chiamare l’oste. Nel frattempo, con sommo orrore dei presenti, un enorme gatto nero entra nel locale con in bocca un grosso oggetto. Qualcuno crede che sia l’insegna che ha preso vita, invece è solo Brumante, che raggiunge il padrone e deposita ai suoi piedi quel che sembra un’ala nera rinsecchita.

“Che porcherie vai rubacchiando, cialtrone?” – gli chiede affettuoso Maltravasso – “Non sei mai sazio? Ad ogni modo, se hai ancora appetito, adesso ci faremo ben servire da questo buffo signore”. Proprio in quel momento appare l’oste, un uomo anziano piccolo e grassoccio, con la calvizie incipiente. “Hai ancora da mangiare e da bere?” – chiede il ladro.

Risponde l’oste: “Eccome, ce n’è da godere! Ci è avanzato un grosso e bel cappone!”. Dice Maltravasso: “Non sarà neppure un boccone. Qui conviene usare altre vivande, che noi siamo soliti far buona cera. Non vedi questo gatto com’è grande? Codesta è una pillola di gera, una robetta che se la mandi giù ti fa crescer la fame, invece di spegnerla”.

L’oste tenta di scusarsi, ma non ha altro in dispensa, al che Maltravasso gli mostra le sue monete d’argento e gli dice che intende spendere tutto in squisiti manicaretti, per cui è bene che si dia da fare. L’ometto fa un inchino e sparisce in cucina, dove dà fondo a tutta la sua abilità nel preparare le pietanze più saporite e pesanti, certo di saziare subito quel cliente esigente.

La giovane cameriera, che risponde al nome di Zelmira ed è figlia dell’oste, raggiunge il tavolo di Maltravasso con un fiasco di vino. Maltravasso la ferma e la prega di portare una ciotola per Brumante e un altro bicchiere. La ragazza ne chiede il motivo, e il ladro risponde: “Perché voi ci terrete compagnia”.

(Prosegue Dr.Scherzo)Buon divertimento. In questa scena, oltre a portare avanti il racconto e ad iniziare il tuo pasto dal famoso cappone, potresti approfittarne per raccontare alla procace Zelmira qualcosa sulle tue origini, tacendo il fatto che sei un furfante. Magari condisci la verità con qualche millanteria.

Inviato il: 24/1/2009 16:59
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Di idee morali non ce ne son più, oggi; e quel ch’è peggio, pare che non ne siano mai esistite. Sono scomparse, inghiottite sin nei loro più piccoli significati... Da L'adolescente di F.Dostoevskij
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Re: [Prologo] - Maltravasso
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Le portate si susseguono, con gran lavorio di mascelle. Al cappone s’aggiunge presto una fumante zuppa di porco, poi un vassoio di fichi ripieni, una abbondante pignatta di frittelle alle erbe aromatiche, una grossa scodella di purè di fave, non meno di dieci salsicce alle spiedo ed un saporito piccione alla diavola, il tutto annaffiato da svariati boccali di vino.
Zelmira osserva Maltravasso con tanto d’occhi, incapace di credere che un uomo solo possa ingurgitare interamente un così pantagruelico pasto.
Dal canto suo, il brigante mastica e sgranocchia e rumina e ingolla e inzuppa e tracanna famelicamente, le mani unte e la barba sudicia. Pulendosi di tanto in tanto con la manica del vestito e sputacchiando verso la ragazza, il rom chiacchiera a ruota libera, ridendo fragorosamente a battute che solo lui comprende e dando vigorosamente di gomito alla sfortunata giovane. La cameriera lancia ripetute occhiate al padre in cerca d’aiuto, ma l’oste le fa segno di non muoversi: quel tipo non sarà certo un Mastro di Buone Maniere, pensa, ma il compenso val bene qualche sacrificio.

Alzando gli occhi al cielo, dunque, ecco Zelmira subire - nell’ordine - l’enfatico racconto:
- delle eroiche gesta del Pirata Maltravasso, capace d’affondare a mani nude non uno, bensì due, anzi no tre, ma facciamo anche quattro vascelli governati da demoniache creature, e di tener testa ad uno, anzi due, anzi no, ad una *famiglia* di Kraken, liberando nel contempo bellissime e ricchissime principesse dai capelli dorati ed i seni abbondanti (ed il cui unico desiderio era giacere con lui);
- delle avventure di Maltravasso il Cavaliere, capace di sconfiggere, armato solo della sua astuzia, colossali draghi neri tricefali, violenti orchi ed immensi giganti, e di liberare nel contempo bellissime e ricchissime principesse dai capelli dorati ed i seni abbondanti (ed il cui unico desiderio era giacere con lui);
- delle vicissitudini di Maltravasso l’Esploratore, partito a bordo d’una botte galleggiante alla volta del Mitico Regno Aldilà del Mare, e qui incappando in vogliose tribù di vergini guerriere (il cui unico desiderio, guardacaso, era quello di giacere tutte con lui) e lottando con ogni sorta d’improbabili e mostruosi esseri, tra cui i Canarupi, feroci volatili gialli con la testa di lupo che – stranamente - tenevan prigioniere bellissime e ricchissime principesse dai capelli dorati ed i seni abbondanti (ed il cui unico desiderio era giacere con lui), oppure i Lucertonigli, squamosi conigli carnivori alti tre metri che – ne eravamo certi - tenevano prigioniere bellissime e ricchissime principesse dai capelli dorati ed i seni abbondanti (ed il cui unico desiderio era giacere con lui, ovviamente);
- delle vicende, infine, riguardanti il Magnanimo et Coraggioso Conte Maltravasso che, salvando – non poteva essere altrimenti – una ricchissima e bellissima fanciulla dai capelli dorati ed i seni abbondanti dalle grinfie di un diabolico brigante, no, ma che dico, di cinque, ma anzi no, d’una intera torma di feroci fuorilegge servitori del demonio, ha ottenuto ricchezze indicibili, numerose terre ed un titolo nobiliare, tutte cose però che non hanno alcuna importanza se paragonate alla lucentezza dei tuoi occhi, bambina mia, se tu potessi vederti com’io ti veggo, ah, si si, eheheh, visto che ne parliamo, lasciami vedere un po’...

Qui Zelmira, ormai ad un passo dall’assopimento, si riprende appena in tempo. Quella dell’ormai ubriaco Maltravasso era tutta una manovra d’accerchiamento: l’ha rintronata di parole al solo scopo d’approfittarne, allungando le mani bisunte sulle sue generose forme! Le di lui bramose dita sono ormai ad un niente dai morbidi e prosperosi beni di lei…

…Quand’ecco che risuona un rumore, seguito da un suono.
*SDONG*
“Ouch”.

“Di queste padelle ne ho altre quindici. Vorresti provarle tutte, mio signore?”
“Una…uhm… può sc…scenscia dubbio *hic* bassshtare, damigella. Può…erhm… farmi il …il conto?”
“Certamente, mio signore”
“La ringrassscio, mia cara”
“Mio signore?”
“Si, dolsce petalo di roscia?”
“Può anche staccare le sue manacce dal mio petto, ora”
“Non sho… di cosa *hic* parlate, damigian… migella”
“Parlo delle sue manacce sul mio sedere, ora”
“Ripeto, non sho *hic* di coscia parlate, o scioave vi-viscione…”
“Mio signore, vi ho già detto che ho quattro robusti fratelli?”
“Oh, intendete QUESTE mani. Certo. Chiedo perdono, non so come…”


*SDONG*

E Maltravasso s’affloscia finalmente sotto il tavolo, felice.

Inviato il: 24/1/2009 21:05
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Il Sonno Della Ragione Genera Mostri (Francisco Goya)
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Re: [Prologo] - Maltravasso
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Tutto gira. La testa è appoggiata sul ruvido legno del tavolo, ma non può essere ferma. Se fosse ferma, Maltravasso non si sentirebbe così. Ancora gonfio per il pranzo luculliano e l’abbondante bevuta, il ladro alza la testa, batte le palpebre e si stropiccia gli occhi. È ancora nella Taverna del Gatto Nero, dalla quale non hanno osato buttarlo fuori, forse perché deve ancora pagare il conto.

Mentre immagina un sistema per filarsela alla chetichella, vede l’oste parlare con uno strano personaggio dagli abiti colorati e vistosi. È giovane e ha tutta l’aria di essere un Mago. “Se ora non ho più niente di buono da offrirle, la causa è l’intemperanza e la voracità di quell’uomo, signore” – dice l’oste col dito puntato su Maltravasso. Il Mago lo osserva con occhi penetranti, in cui si legge una certa ostilità per l’ubriacone che lo ha privato del giusto pasto.

Proprio in quel momento la porta si apre con fragore e vi entra un uomo biondo dagli abiti eleganti, trafelato, che si guarda intorno con impazienza. Non appena scorge Maltravasso, gli occhi si accendono di rabbia e la bocca si contorce in un trionfale “Tu!”. Il ladro ha la mente annebbiata e non ricorda di aver mai visto quell’uomo, ma la memoria gli ritorna quando una mano tenace lo tira in piedi. “Dove hai messo la mia sacca, ladro?” – domanda a gran voce il nobile, così vicino al viso di Maltravasso da sputazzargli in faccia tutto il suo disprezzo.

“Sacca? Quale sacca?” – tenta di rispondere – “Non è mia abitudine portarmi appresso le sacche altrui, egregio”. “Ah sì?” – ribatte il biondo – “E quella cos’è?”. Indica una sacca gettata con noncuranza sulla panca. “Quella?” – esclama stupito il briccone – “Quella non è certo mia, stava qui abbandonata ed io mi ci sono solo seduto accanto”.

“Sciocchezze” – dice l’altro, spingendo all’indietro Maltravasso che per poco non capitombola su un tavolo – “Non sono mai stato qui e questa sacca è la mia. Dentro c’è una lettera firmata destinata a me, Teobaldo da Tàbisa”. A prova dell’affermazione estrae la raccomandazione che Apollodoro di Viltio ha preparato per lui. “Chissà come è capitata qui, allora” – prosegue Maltravasso, sempre più in difficoltà ad arrampicarsi sugli specchi – “In questa contrada proprio non si può stare al sicuro dai furfanti...”.

“È vero” – mormora una voce sconosciuta, proveniente da un ragazzo dai lunghi capelli appena apparso sulla soglia – “A Cirrobabo i ladruncoli non mancano. Ne ho appena preso uno” e solleva un sacco in cui si dimena una piccola creatura assatanata. I graffi sul viso e sulle mani del nuovo venuto non lasciano dubbi sull’identità del prigioniero. “Volevo sapere se questo tremendo felino è di proprietà della Taverna” – chiede.

“Nemmeno per sogno” – risponde l’oste – “Il gatto appartiene al signore là in fondo”. Il ragazzo si gira e nota Maltravasso e Teobaldo, ma non ci mette molto a fare la sua scelta. Un gatto così malefico non può appartenere ad altri che ad un Rom. Con fare molto sicuro di sé, si avvicina al tavolo e, con acuto spirito d’osservazione, nota la scura ala di pipistrello sotto una sedia. La raccoglie e la mostra a Maltravasso. “Il tuo amico ha la brutta abitudine di portarsi via la roba altrui” – gli dice – “Ha sottratto quest’ala dalla mia borsa, ma quel che è peggio è che mi ha portato una sfortuna pazzesca ed ora mi ritrovo senza il becco d’un ceo”.

“Chissà da chi avrà imparato a rubare” – dice Teobaldo, mentre si assicura la sacca alla cintura. “Rubare?” – esclama Maltravasso – “Ma guarda un po’ che orribili accuse devo subire io, l’onestissimo Maltravasso, il procacciatore d’affari più famoso d’Ilmona. Quanto al gatto, beh, non è certo mio. Il nostro buon oste deve essersi sbagliato perché mi ha visto carezzare e nutrire la bestiola. Che colpa ne ho io, se mi piacciono gli animali e non posso negar loro un pezzetto del mio stufato?”

“Allora non ti darà fastidio se il gatto me lo tengo io” – dice il ragazzo sfoggiando una furba espressione – “lo scuoio vivo e mi ci confeziono un amuleto che protegge dagli spiriti maligni”. Maltravasso impallidisce a quelle parole. Brumante è una bestia del demonio, ma una simile fine è troppo atroce anche per un malandrino come lui. “No, ti prego, non farlo” – lo supplica – “E’ vero, il gatto nero è mio. È un delinquente della peggior specie, questo è vero, ma per me è un amico inseparabile. Non fargli del male, ti rimborserò del danno subito...”

“Non prima di aver saldato il conto” – proclama l’oste – “Ho la dispensa vuota grazie al vostro appetito. Fanno quattro ori alchemici e otto monete d’argento, grazie”. “Perdinci” – osserva Maltravasso – “Un prezzo ben salato per un pasto abbondante”. “Vi sono incluse la compagnia di mia figlia Zelmira e le libertà che vi siete preso nei suoi confronti” – risponde secco l’oste.

Maltravasso estrae a malincuore la pesante scarsella e, sotto gli occhi vigili di Teobaldo da Tàbisa, posa sul bancone tre pezzi d’oro e diciotto monete d’argento, che l’oste fa sparire in gran velocità. “Eccomi ridotto di nuovo in miseria” – si lamenta il ladro.

Non c’è legge alcuna che si impone alla fortuna, mormora una vocina stridula e soffocata. Tutti si voltano verso il Mago, che arrossisce imbarazzato. Finché si è debitori, si è nei dolori, continua la voce. Chiaramente proviene da lui ma le sue labbra non si sono mosse.

“Chi ha parlato?” – chiede Teobaldo da Tàbisa, preoccupato. “Sei un ventriloquo?” – domanda il ragazzo Rom con il gatto nel sacco. “No, niente di tutto ciò” – risponde il Mago – “È una dannatissima statuetta che mi porto appresso. È incantata e ha il brutto vizio di parlare di sua sponte”. “L’ideale per non dare nell’occhio” – commenta Teobaldo. “Già” – ammette lo sconosciuto avventore – “Comunque piacere di conoscervi. Mi chiamo Floriano delle Sette Ville Cadenti e sono un Mago diplomato. Sono appena arrivato ad Ilmona dopo un lungo viaggio e volevo concedermi un pasto come si deve, ma pare che resterò a bocca asciutta”.

Maltravasso tenta di approfittare della conversazione per sgattaiolare inosservato, ma il paladino di Piamanca lo afferra per il bavero. “Non credere di svignartela così” – gli intima – “Ora risarcisci il ragazzo, poi ti porto dalle guardie assieme al tuo gatto perché vi sbattano tutti e due in cella”. “Non ho più nulla da dare” – risponde Maltravasso, mogio mogio. “Beh, costui non può rispondere delle malefatte del suo gatto” – si intromette Floriano – “né della sfortuna che può aver arrecato agli altri, se siete così superstiziosi da credere a cose del genere”.

“Io ci credo” – dice il ragazzo – “però non me la sento di infierire su chi ha già visto svanire la sua fortuna. In nome della solidarietà che lega la Stirpe dei Rom, vai in pace assieme al tuo gatto”. “Come ti chiami?” – chiede Maltravasso a quel giovincello dai modi solenni. “Sono Tartacot, il Cartomante” – risponde – “E tu non sei Maltravasso il procacciatore d’affari, ma Maltravasso il ladro”. “Ah, la mia fama mi precede!” – esclama orgoglioso il furfante, recuperando per un attimo il morale. “Mai sentito parlare di te” – dice Tartacot – “L’ho letto nei tuoi occhi e nelle tue movenze”.

“Capirai quale preveggenza è necessaria per capire che costui è un grassatore” – sentenzia Teobaldo – “Ora saluta tutti, ce ne andiamo al corpo di guardia”. “Ebbene, ci rivedremo!” – annuncia Maltravasso e strizza l’occhio a Zelmira che sta ripulendo il tavolo dagli ultimi rimasugli del suo banchetto. Poi Teobaldo lo spinge fuori dalla Taverna del Gatto Nero, dopo aver ricevuto il sacco contenente l’indiavolato Brumante.

Tartacot e Floriano guardano i due uscire, poi si salutano a loro volta. “Non so tu, ma io muoio di fame” – dice il Mago – “visto che qui non si mangia, pensavo di andare al mercato a prendere una focaccia ed un po’ di frutta. Vuoi favorire?”. “Volentieri” – risponde il ragazzo – “le gallette che ho mangiato poco fa non erano granché, ma non potevo permettermi di meglio”. Gustando quel che c’è, si pranza come un re, sentenzia la statuetta di Irpilla Morosa. Floriano sorride a Tartacot, prima di uscire assieme a lui sul largo di Cirrobabo.

Inviato il: 7/2/2009 13:30
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Di idee morali non ce ne son più, oggi; e quel ch’è peggio, pare che non ne siano mai esistite. Sono scomparse, inghiottite sin nei loro più piccoli significati... Da L'adolescente di F.Dostoevskij
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